La presidente Giorgia Meloni ha un problema molto più grave dei rave party e quello che è successo sabato a San Siro è soltanto la punta dell’iceberg. Scioglierlo o cavalcarlo? Questo è il dilemma politico.
I fatti sono noti, ma rischiano di scivolare fuori scena: sabato sera a Milano è stato assassinato tal Vittorio Boiocchi, pluripregiudicato e leader storico della tifoseria ultras dell’Inter. Pace all’anima sua. I capi ultras della curva nord hanno deciso di rendere omaggio al morto abbandonando lo stadio dopo il primo tempo di Inter-Sampdoria. Fatti loro. Ma – e qui sta il punto – volendo dare all’ossequio il giusto rilievo, hanno imposto a tutti coloro che occupavano quello spicchio di stadio di fare altrettanto: le testimonianze raccolte parlano di minacce, pugni, spintoni indiscriminatamente distribuiti a chiunque opponesse resistenza. Violenze tanto efficaci e indisturbate da ottenere il risultato desiderato: spalti vuoti.
La Digos indaga, l’Inter ha preso le distanze ribadendo i valori di fratellanza e antidiscriminazione cui si ispira la società e garantendo il doveroso sostegno agli investigatori. E ci mancherebbe!
Questo episodio pone almeno due questioni molto serie.
La prima: è purtroppo un dato acquisito quello di una certa attitudine criminale di talune tifoserie organizzate. Una attitudine che si traduce spesso in modalità che richiamano quelle mafiose, sia quando i mafiosi in senso stretto sono proprio tra i protagonisti delle vicende (come diversi processi hanno ormai stabilito), sia quando di mafiosi “patentati” pare non essercene, ma mafioso è senz’altro il metodo evidentemente fondato sulla forza di intimidazione del vincolo associativo, cioè in altre parole sulla capacità di queste organizzazioni di fare paura e di ottenere obbedienza. Il tutto per finalità che non si distinguono da quelle tradizionali delle associazioni mafiose più “blasonate”: soldi e potere.
Per affrontare questa questione ci vuole “tolleranza zero”, nessuna compiacenza, nessuna sottovalutazione, chi si comporta in questo modo non è un ragazzaccio che gioca a fare la faccia dura, uno che può essere sopportato quando non addirittura blandito e addomesticato perché utile allo spettacolo (e non soltanto), no: è un criminale e come tale va affrontato. Per questo auspico che qualora fossero confermate dalle indagini le condotte violente di cui sopra, la Procura di Milano voglia procedere per sequestro di persona e non soltanto per violenza privata. L’art. 605 del nostro Codice Penale è molto chiaro: chiunque priva taluno della libertà personale è punito con la reclusione da sei mesi a otto anni, pene aumentate se in danno di un minore. Il concetto di “privazione della libertà personale” è ampio e riguarda generalmente la restrizione volontaria della libertà fisica della persona, insomma: è sequestro quando impedisci a qualcuno di muoversi, ma anche quando obblighi qualcuno a farlo.
Ma la seconda questione è, se possibile, più grave della prima e attiene alla caratura ideologica di molte di queste tifoserie criminali. Organizzazioni non soltanto capaci di comportarsi come clan mafiosi, ma anche come braccio violento di questa o quella bandiera politica, tanto di estrema destra quanto di estrema sinistra. Il ministero dell’Interno si è dotato da tempo di un Osservatorio dedicato alle manifestazioni sportive che da anni monitora il fenomeno e i dati sono impressionanti. Nessuna forza politica democratica dovrebbe dare anche soltanto l’impressione di flirtare con queste organizzazioni per lucrare qualche rendita sul piano del posizionamento, del radicamento sociale e, finalmente, del consenso elettorale.
Tutto ciò posto, sarebbe significativo che la presidente del Consiglio Meloni, che ha già voluto mostrare i denti contro i mafiosi, facesse altrettanto con queste organizzazioni, incaricandosi di rappresentare la posizione dell’intero suo governo su entrambe le questioni. L’auspicio non vuole essere una retorica provocazione adesso che ci sono i nostalgici del Duce ai vertici delle istituzioni del Paese, ma una modestissima e preoccupata richiesta di attenzione, tanto più necessaria ricordando certe affettuose frequentazioni dell’allora, 2018, ministro dell’Interno Matteo Salvini, che non aveva avuto di meglio da dire a chi gliene chiedeva conto, che si era trovato “indagato tra indagati”. Certo oggi Salvini non è più ministro dell’Interno, ma lo è diventato il suo capo di gabinetto di allora.