A denunciarlo è il sodalizio di ONG MedSea Alliance che oggi pubblica importanti dati e studi, ottenuti in esclusiva da ilfattoquotidiano.it, compreso il primo Atlante sulle infrazioni nelle aree chiuse allo strascico. Controlli poco trasparenti o addirittura assenti consentono il saccheggio del mare più sovrasfruttato al mondo, oltre che uno dei più ricchi di biodiversità: il 75% degli stock ittici è oggetto di pesca eccessiva e la varietà di specie per area supera di circa 10 volte la media mondiale
I governi e l’Ue non difendono seriamente i fondali del Mediterraneo dalla pesca illegale. A denunciarlo è il sodalizio di ONG MedSea Alliance che oggi pubblica importanti dati e studi, ottenuti in esclusiva da ilfattoquotidiano.it, compreso il primo Atlante sulle infrazioni nelle aree chiuse allo strascico. Controlli poco trasparenti o addirittura assenti consentono il saccheggio del mare più sovrasfruttato al mondo, oltre che uno dei più ricchi di biodiversità: il 75% degli stock ittici è oggetto di pesca eccessiva e la varietà di specie per area supera di circa 10 volte la media mondiale.
Con 5884 pescherecci (rapporto FAO del 2020), lo strascico rappresenta il 39% delle entrate dell’intero settore della pesca nel Mediterraneo. La flotta italiana è la più grande con 2024 imbarcazioni. Secondo la ONG Oceana (membro di MedSea Alliance), nel 2019 la durata dello strascico delle barche italiane sugli ecosistemi vulnerabili è stata oltre tre volte superiore a tutti gli altri paesi. “Raschiando il fondale con le sue reti, la pesca a traino falcia habitat cruciali e frantuma i sedimenti marini che immagazzinano CO2, contribuendo così al riscaldamento globale – spiega Nicolas Fournier, direttore della campagne per la protezione degli habitat presso Oceana – Uccide inoltre un numero record di specie in via di estinzione, spesso rigettate morte o lasciate morire in mare, particolarmente tartarughe marine, squali e razze”. Per questo lo strascico è regolamentato nel Mediterraneo da una complesso mosaico di regole nazionali, Ue e internazionali.
Al divieto generalizzato sotto i 1000 metri di profondità ed entro 3 miglia nautiche (5,6 km) dalla costa si aggiungono le chiusure in determinati periodi. Specifiche categorie di aree godono di un protezione più o meno elevata. Quella massima vige per gran parte delle Aree ristrette alla pesca (Fisheries Restricted Area – FRA) istituite dalla Commissione Generale per la Pesca nel Mediterraneo che riunisce i paesi Ue e non. Si va invece dal divieto alla semplice limitazione nelle cosiddette Aree marine protette (AMP), create dai singoli Stati per raggiungere gli obiettivi di tutela ambientale previsti dagli accordi multilaterali (in particolare la Convenzione internazionale sulla Biodiversità). Le aree ristrette previste dal Regolamento Mediterraneo Ue del 2006 sono invece rimaste per lo più lettera morta. “Il quadro normativo protegge in maniera completa solo lo 0.2% del Mediterraneo, troppo poco”, commenta Fournier.
Poca trasparenza su infrazioni e sanzioni – L’Atlante interattivo, lanciato dalla Med Sea Alliance, raggruppa le infrazioni riscontrate in gran parte delle 350 analizzate (178 in Italia), suddividendole in quattro categorie: le FRA, le AMP (riserve o parchi), le restrizioni nazionali, come le Zone di Tutela Biologica (ZTB) in Italia, e i siti Natura 2000, introdotti dalla Direttiva europea Habitat.
La mappa visualizza non solo le violazioni segnalate dalle autorità locali o dai media (tra il 2018 e il 2021), ma anche quelle che, seppur non ancora accertate, possono essere presunte sulla base dei tracciati AIS (sistema di identificazione automatica) delle imbarcazioni, analizzati sulla piattaforma Global Fishing Watch (tra il 2020 e il 2021). Il sistema di comunicazione satellitare AIS, introdotto dall’Organizzazione marittima internazionale per evitare collisioni e obbligatorio nell’Ue su tutti i pescherecci di oltre 15 metri, fornisce tipo, posizione, direzione e velocità delle imbarcazioni. La combinazione algoritmica di questi parametri consente di dedurre con elevata probabilità se vi è stata attività di pesca in una specifica zona.
Per l’Italia si contano 85 infrazioni accertate e sanzionate, la metà delle 170 registrate per tutti i paesi rivieraschi. Questi ultimi, oltre ad avere meno aree chiuse, hanno rifiutato di comunicare per intero le loro statistiche ufficiali (l’Atlas riporta solo le poche pubblicate sui media), dimostrandosi meno trasparenti del nostro. Il totale delle infrazioni presunte in base al posizionamento AIS riguarda invece 35 aree tutelate e 305 pescherecci, per un totale di 9.518 giorni.
C’è però da dire che la Guardia costiera italiana aggrega i dati sulle infrazioni solo per le FRA e le AMP (rispettivamente 80 e 5 nell’Atlas), ma non le ZTB e i siti Natura 2000. Per queste due categorie l’Atlas mostra pertanto solo presunzioni di illecito, rilevate per l’Italia in 14 aree da parte di 114 pescherecci. Global Fishing Watch ci ha fornito il geo-posizionamento AIS di una decina di imbarcazioni sospette con bandiera tricolore. Sebbene la normativa Ue autorizzi l’AIS per le verifiche incrociate, la legislazione italiana non lo ammette come strumento di prova. Ilfattoquotidiano.it ha chiesto alla Guardia costiera di confermare o meno i presunti illeciti delle barche tricolore indicati nell’Atlas, tramite il sistema di controllo satellitare Vessel Monitoring System (VMS), considerato ufficialmente probante. Non è arrivata alcuna risposta.
Uno studio tramite AIS, realizzato dall’Università di Ancona per conto del CNR e pubblicato nel 2019, ha rivelato che 217 pescherecci hanno strascicato sui due terzi della superficie complessiva di 11 delle 12 ZTB analizzate (meno della metà delle 26 esistenti). Non risultano indagini in corso su questi casi. “Tutte le segnalazioni sono oggetto di verifica”, ha risposto il Comando generale della Guardia costiera, precisando tuttavia che “non esiste, a livello nazionale, una correlazione tra le segnalazioni ricevute, le verifiche esperite e le eventuali sanzioni comminate”. Di fatto, non vi è modo di appurare se le autorità sono intervenute o meno in determinate circostanze. “Comunico regolarmente alle capitanerie di porto in Toscana (una delle regioni col più alto numero di ispezioni) casi di pesca a strascico entro il limite non consentito di 1,5 miglio dalla costa, a quella distanza ravvicinata si rovinano habitat importanti e si portano via ricciole, orate, saraghi, occhiate, ossia le specie su cui campa la piccola pesca artigianale”, racconta Paolo Fanciulli, pescatore toscano fondatore dall’onlus La casa dei pesci, paladina del mare. “Spesso – continua – le barche da me colte in flagrante operano di notte quando le motovedette non escono, per di più spegnendo illegalmente l’AIS per non farsi intercettare”. La manomissione dei sistemi di localizzazione è una delle più ricorrenti tipologie di illeciti riscontrati nelle acque italiane che nel 2021 hanno ammontato complessivamente a 1739, secondo l’ultimo rapporto congiunto della Guardia costiera e del Dipartimento Pesca del ministero dell’Agricoltura.
Le lacune nel quadro normativo – “Complice dei pescherecci fraudolenti è la stessa Ue”, afferma Domitila Senni, responsabile dell’ONG Med React (anch’essa membro di MedSea Alliance), secondo cui “la Commissione europea continua a tollerare la mancata tutela a livello nazionale degli habitat marini più vulnerabili, ossia lei fanerogame marine, i coralligeni, i letti di maërl e le praterie di posidonia ricompresi nei siti Natura 2000, importanti vivai per la fauna marina. “Il Regolamento Mediterraneo del 2006 va interpretato nel senso che lo strascico va escluso in tutta la superficie dei siti Natura 2000 adibiti alla protezione degli habitat in questione”, spiega l’ex-professore di diritto internazionale all’Università di Milano-Bicocca, Tullio Scovazzi. Med React ha sottolineato però che le autorità nazionali applicano il divieto solo nelle porzioni che contengono gli habitat stessi. “Questi continuano così a essere soffocati e degradati dai sedimenti sollevati dal passaggio delle reti nelle aree circostanti”, spiega Senni. Ad esempio nel sito Natura 2000 dell’Arcipelago siciliano delle Egadi (uno dei 184 siti analizzati da Med React in Italia, Spagna, Francia, Grecia, Slovenia e Croazia) lo strascico è proibito nell’omonima AMP, ma solamente intorno alle isole. E’ invece consentita nello spazio di mare che separa queste ultime, nonostante sia anch’esso parte del sito.
Lo stesso Regolamento prescrive di chiudere ulteriori aree, dette Zone di pesca protetta, per estendere la tutela degli habitat essenziali al di là dei siti Natura 2000. Come svelato da Oceana nel 2020, per adempiere a quest’obbligo, l’Italia ha riciclato alcune ZTB e, insieme ad altri paesi, ha addirittura rispolverato alcune AMP. Queste, oltre a essere ancora troppo piccole, sono parzialmente sprovviste di un’interdizione di strascico che l’Europarlamento, lo scorso maggio, ha chiesto di estendere in modo integrale. “Abbiamo affrontato i limitati progressi degli Stati membri proponendo nuovi piani di gestione pluriennali nel Mediterraneo occidentale e nell’Adriatico e collaborando con la Commissione Generale per la Pesca nel Mediterraneo per l’istituzione di nuove FRA”, spiega il portavoce dell’esecutivo di Bruxelles.
Le misure citate incontrano tuttavia resistenze politiche. “L’Italia ha eluso il Piano per il Mediterraneo Occidentale ricorrendo alla deroga che esenta i governi dal proibire periodicamente lo strascico lungo tutta la costa (per tre mesi consecutivi entro le 6 miglia a profondità non superiore ai 100 metri) qualora chiudano permanentemente nuove zone. Il nostro paese si è limitato a riproporre quelle stesse ZTB nel Tirreno dove il divieto era già in vigore (in alcuni casi sin dagli anni ‘90)”, spiega Domitilla Senni, responsabile di MedReAct. “Inoltre, mentre l’istituzione di alcune FRA, come quella della Fossa di Pomo nell’Adriatico, possono dare risultati straordinari per il ripopolamento del mare, si stenta a replicare questi esempi di successo in altre aree del Mediterraneo“.
L’industria teme restrizioni troppo penalizzanti. “Riteniamo necessario un equilibrio tra sostenibilità economica, sociale ed ambientale”, dichiara Cristian Maretti, Presidente di LegaCoop Agroalimentare, affiliata all’Alleanza delle Cooperative Italiane settore pesca e all’Alleanza europea per lo strascico (EBFA), “ma la messa al bando dello strascico sarebbe un errore che costerebbe all’Europa maggiori importazioni da mari che sono già oggi sfruttati più dei nostri”. Ma le ONG spingono per la linea dura. “Esortiamo la Commissione europea a sanzionare i paesi che non fanno rispettare i divieti”, afferma Fournier. Peccato che i governi non abbiano l’obbligo di condividere indagini e sanzioni in una banca dati centralizzata a livello Ue che permetta di accertare eventuali inadempimenti nazionali. Med Sea Alliance ha chiesto all’Ue e alla CGPM, che terrà la sua riunione annuale dal 7 al 11 novembre, di fornire informazioni pubbliche almeno sui casi confermati.
Articolo realizzato grazie al supporto di Earth Journalism Network di Internews nell’ambito della Mediterranean Media Initiative