La sanità gestita dalla Regione Veneto, che costa 10 miliardi e mezzo di euro all’anno, non è in grado di assicurare la copertura attraverso il presidio sanitario essenziale in 670 zone del proprio territorio, a causa della carenza di altrettanti medici di base. Il che significa che in quelle realtà i cittadini devono rivolgersi al pronto soccorso o soltanto a strutture private. La denuncia viene dal gruppo regionale del Partito democratico attraverso uno studio realizzato dai ricercatori Stefano Dal Pra Caputo e Francesco Peron che hanno elaborato i dati ufficiali Istat, Ministero della Sanità e Agenzia per i servizi sanitari regionali. Si tratta di un atto d’accusa nei confronti dell’incapacità programmatoria della Regione che non si sarebbe attivata per investire su un numero sufficiente di borse di formazione e che ora sta per pagare un caro prezzo dovuto anche alla curva dei pensionamenti dei medici, che raggiungerà il suo apice nel 2023-2024. “Perfino i rappresentanti sindacali dei medici di medicina generale sono rimasti stupiti, non pensavano che la situazione fosse così grave” hanno spiegato i consiglieri regionali Giacomo Possamai, Vanessa Camani, Anna Maria Bigon, Francesca Zottis, Jonatan Montanariello e Andrea Zanoni. “Siamo di fronte a una tempesta perfetta, con il rischio reale che si rompa il sistema”.
PENSIONAMENTI RECORD – Secondo lo studio, nei prossimi due anni si registrerà il picco di 184 e 179 pensionamenti. Ma nell’arco di 15 anni, fino al 2035, si arriverà a una fuoriuscita di oltre 1.900 professionisti. I medici di base erano 2.973 a fine 2021, con una previsione di esodo di 477 unità nel triennio 2021-23, pari al 16 per cento del totale, con una stima che arriva al 64,6 per cento entro il 2035. Questa situazione è anche effetto dell’età elevata dei medici. Attualmente gli under 55 sono 1.106, pari al 37,2 per cento del totale, mentre gli over 55 sono 1.867 ossia il 62,8 per cento. In particolare, le province di Rovigo e Belluno registrano la maggiore presenza di medici di famiglia tra i 65 e i 68 anni, quindi prossimi alla pensione, rispettivamente il 31,1 e il 26,6 per cento. In Polesine, quindi, quasi un medico su tre andrà in pensione nei prossimi tre o quattro anni.
BORSE INSUFFICIENTI – Come garantire il turn over? Il punto dolente riguarda proprio gli investimenti sul fronte della formazione dei medici di medicina generale attraverso le borse di specializzazione. Il Veneto è in forte ritardo, addirittura all’ultimo posto con 0,17 borse ogni 1.000 abitanti. Dal 2014-2021 in Veneto ne sono state messe a bando 810, 272 in meno del Piemonte e 93 in meno dell’Emilia Romagna, che hanno circa mezzo milione di abitanti in meno del Veneto; mentre la Toscana che ha 1 milione e 200 mila abitanti in meno, ha messo a disposizione 97 borse più del Veneto. “Tutto questo è frutto di una cattiva programmazione – sostengono gli esponenti del Pd – che non ha tenuto conto della ‘gobba pensionistica’. Inoltre, fino al 2018 le Regioni ottenevano dallo Stato (per borse e spese organizzative) le risorse che chiedevano. Questo rende l’errore ancora più macroscopico, visto che in quegli anni il Veneto ha chiesto molto meno borse di Regioni più piccole: tra il 2014 e il 2017 la Toscana ne ha chieste 316, l’Emilia-Romagna 270, il Veneto solo 175. Quando si poteva ottenere quel che si chiedeva, il Veneto non ha chiesto abbastanza. E quando la coperta è diventata corta, e si otteneva dallo Stato meno di quel che serviva, alcune Regioni hanno scelto di mettere risorse proprie”.
BOTTA E RISPOSTA – Gli esponenti del Pd concludono: “Il governo del Veneto ha ben poco da scaricare le responsabilità altrove. Dopo il ‘grande sonno’ degli anni precedenti, ora neppure gli aumenti progressivi dei fondi ministeriali sono sufficienti per colmare le voragini, in termini di carenze, che si sono create nel tempo. I cittadini veneti si ritrovano in un sistema sanitario dove cominciano a fare la loro comparsa i medici di famiglia a pagamento e che non può più definirsi autenticamente pubblico”. L’assessora regionale leghista Manuela Lanzarin rimanda la palla allo Stato: “La carenza di medici è un problema di livello nazionale, che andava e andrà risolto a livello governativo”. Rispetto allo studio del Pd indica addirittura un numero inferiore di medici di medicina generale in servizio, 2.875. “Non userei termini catastrofici, perché a fronte di 462 esodi, fino al 2025 si diplomeranno nella Scuola di sanità pubblica della Regione 700 giovani medici”. Una replica che però non tiene conto di due aspetti: ai 462 esodi vanno aggiunti i 670 già mancanti. E non tutti i 700 in fase di specializzazione concluderanno il percorso. L’assessora insiste nello scaricare a livello statale le responsabilità: “Tocchiamo giornalmente con mano quanto sia complesso garantire il fabbisogno di ‘camici bianchi’ secondo le esigenze del sistema. Purtroppo il numero di laureati in Medicina non è congruo a quelle che sono le necessità, e questo non dipende da una scelta regionale”.