Operazione dei carabinieri coordinati dalla Dia: 25 misure cautelari e 30 milioni di beni sequestrati. Tra gli arrestati anche i boss Agostino e Nicola Sangermano. L'inchiesta ha fatto emergere il controllo del territorio nel Napoletano, nell’agro nolano e in parte della provincia di Avellino.
Terreni, fabbricati, società, autovetture e rapporti finanziari. Tutto sequestrato al clan Sangermano, per un valore totale di 30 milioni di euro. I carabinieri del nucleo investigativo di Castello di Cisterna e la Dia, coordinati dalla Dda, hanno notificato 25 misure cautelari nei confronti di presunti appartenenti all’organizzazione malavitosa camorristica ritenuta responsabile di affari illeciti nel Napoletano, nell’agro nolano e in parte della provincia di Avellino. Tra i destinatari anche i vertici del clan Agostino e Nicola Sangermano, di 42 e 44 anni. Sono i boss davanti alla cui villa, come documentato dall’indagine, nel 2016 avvenne l’inchino della statua della Madonna del Rosario, durante la processione a San Paolo Bel Sito, in provincia di Napoli.
I reati ipotizzati sono molteplici: associazione di tipo mafioso, estorsione, trasferimento fraudolento di valori, illecita concorrenza, usura, auto riciclaggio e porto e detenzione illegale di armi comuni da sparo, quest’ultimi aggravati dalle finalità e dalle modalità mafiose. L’attività investigativa, svolta dal 2016 al 2019, ha consentito di evidenziare, spiega un comunicato, “l’operatività del sodalizio criminale con base a San Paolo Bel Sito. Il controllo del territorio avveniva anche attraverso l’uso diffuso delle armi di cui il clan disponeva. Le indagini hanno fatto emergere le plurime condotte estorsive: i Sangermano imponevano articoli caseari a numerosi esercizi commerciali della zona e obbligavano gli imprenditori all’acquisto di provviste per l’edilizia da una sola rivendita di riferimento. Inoltre, il clan si assicurava importanti profitti economici attraverso l’attività di riciclaggio, l’illecito esercizio della professione creditizia e la concorrenza illecita, esercitata grazie ai metodi intimidatori messi in atto.
Quando nel 2016, durante la processione, i portantini, seguendo l’indicazione di un gruppo di persone che partecipava all’evento insieme a centinaia di fedeli, si resero protagonisti dell’inchino, alcuni cittadini si opposero duramente al gesto. Le reazioni più forti furono quelle del parroco e del maresciallo dei carabinieri di San Paolo Bel Sito. Il sacerdote e il sottufficiale decisero di lasciare il corteo, esprimendo la loro frustrazione per quanto accaduto. Era il momento di dire basta alla prepotenza del crimine organizzato.