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Decreto anti-rave, Achille Serra: “La differenza rispetto al passato? Prima lo sgombero doveva essere chiesto dal proprietario, ora non più”

Il "poliziotto senza pistola" che a Milano gestì il trasferimento del Leoncavallo dà il suo parere tecnico sulla norma contestata voluta dal governo Meloni. "Ma sono situazioni che vanno gestite con il dialogo"

La chiave per capre il decreto anti-rave party sta in una parola: “Invasione”. Che è cosa diversa dall’occupazione. Così la vede Achille Serra, il “poliziotto senza pistola” come ha voluto intitolare anni fa la sua biografia incentrata sugli anni di piombo a Milano, tra contestazione e “mala”. Poi è stato prefetto e vicecapo vicario della polizia di Stato e oggi, a 81 anni, continua a seguire le questioni di ordine pubblico. “Solo da tecnico però – ci tiene a precisare – perché l’esperienza politica me la voglio dimenticare proprio”. Il riferimento è alle due legislature (anzi, una e mezzo) in veste di parlamentare prima di Forza Italia, poi del Pd e infine dell’Udc.

Prefetto Serra, perché la distinzione è importante?
L’invasione di terreni ed edifici altrui prevista dal decreto è cosa molto diversa, per esempio, da un gruppo di studenti che occupa la propria scuola. Sui giornali ho visto un po’ di confusione su questo.

Però non è che mancassero le norme per sgomberare spazi “altrui”, per esempio i centri sociali autogestiti. Lei da questore di Milano gestì la vicenda del Leoncavallo, ma ancora oggi gli sgomberi di edifici occupati sono all’ordine del giorno in tante città italiane.
Fino a oggi, su un’occupazione si poteva intervenire solo se il proprietario lo richiedeva. Con la mediazione e senza gravi incidenti, nel 1994 riuscimmo a far trasferire il Leoncavallo dalla sede storica a quella attuale, in via Watteau, perché all’epoca la famiglia Cabassi, proprietaria dello stabile, diede una sorta di consenso informale. Con questo decreto l’iniziativa del proprietario non è più necessaria.

Lei, “poliziotto senza pistola”, si è detto sempre favorevole alla mediazione. Qui invece si interviene con una nuova norma e pene severe.
Certo che queste situazioni vanno gestite con il dialogo. E a quanto ho letto sui giornali il rave di Modena, da cui è partito tutto, si è risolto senza incidenti. Potevano succedere, tra migliaia di persone c’è sempre violento, un squilibrato che può far degenerare le cose. Se in ordine pubblico usi la forza ottieni soltanto critiche. L’uso della forza è sempre da condannare, se non in casi estremi. Sulle pene non mi pronuncio, è materia per magistrati.

Il decreto non lascia troppi margini di interpretazione?
Forse si poteva scrivere in modo più chiaro, ma a mio parere indica tre elementi precisi che possono far scattare l’intervento. Il pericolo per l’ordine pubblico, il pericolo per la salute pubblica – il caso di Modena, dove risulta ci fosse uno stabile pericolante – la commissione di reati, come lo spaccio di droga o le violenze, cose che nei rave sono accadute. Ma c’è un’altra parola chiave.

Quale?
“Arbitrariamente”. Come per le manifestazioni politiche, anche per un evento del genere si può chiedere l’autorizzazione al prefetto o al questore. Se la si ottiene, non c’è più invasione “arbitraria”.

Altro nodo di scontro: la pena prevista consente di indagare anche con le intercettazioni. Che ne pensa?
Le intercettazioni telefoniche mi sembrano un tantino troppo, poi l’organizzazione di questi eventi avviene di solito sul web, sulle chat. Però senza intercettazioni rischi di trovarti davanti al fatto compiuto.