Ogni strategia o tattica militare costituisce la traduzione sul piano bellico di una scelta politica di fondo. Chiara è la scelta politica di fondo compiuta in questi giorni dai decisori reali, che sono il governo statunitense e la Nato. Costoro hanno deciso che vale la pena rischiare la guerra nucleare pur di ottenere la sconfitta della Russia e possibilmente la destituzione di Vladimir Putin, senza peraltro rendersi conto del fatto che chi gli seguirà sarà probabilmente peggiore di lui.
E deve essere chiaro che la guerra nucleare significherà la morte immediata per decine di milioni di persone, compresi probabilmente io e voi che mi leggete, e un’esistenza indegna di essere vissuta per coloro che sopravvivranno.
A questo punto salterà fuori qualche imbecille che mi accuserà di essere amico di Putin o addirittura pagato da Putin. Si sa del resto che il tasso di imbecillità sale a livelli altissimi subito prima delle guerre e gran parte dei media si affanna a ottenere questo risultato facendo intanto breccia nelle deboli menti dei politici, più intenti a salvaguardare le fortune dell’industria bellica che la vita dei cittadini.
Non chiedetemi del resto di seguire l’esempio di chi si dichiara pronto ad immolare se stesso insieme a tutte le generazioni presenti e future pur di “garantire la libertà degli ucraini”, che sono le principali vittime della guerra in corso e più di ogni altro hanno interesse alla sua rapida e definitiva conclusione.
Le accuse di filoputinismo non mi tangono perché ho sempre criticato Putin come esponente della nuova borghesia imperiale russa. Ciò tuttavia non esime dal non capire che il gioco in corso è molto delicato e complesso ed esige una prospettiva che, se non può essere quella di Putin, tantomeno può essere quella della Nato e degli Stati Uniti che hanno deciso di aprire questo fronte per restaurare il loro controllo sul pianeta, che è irrimediabilmente e inevitabilmente compromesso per effetto dell’evoluzione storica.
Solo assumendo tale necessaria più ampia prospettiva è possibile pervenire al necessario negoziato e all’indispensabile soluzione diplomatica del conflitto, che deve essere basata sui due pilastri della neutralità permanente dell’Ucraina e dell’autodeterminazione e tutela dei diritti della popolazione di tutte le zone contese, elaborando soluzioni adeguate in questo senso. Anche sulla base degli Accordi di Minsk che non è stato possibile attuare per l’opposizione della Nato e di coloro che seguivano e continuano a seguire le sue direttive in seno al governo ucraino.
Questa scelta è la sola in grado di soddisfare gli interessi del popolo ucraino nel suo complesso, quale che sia l’orientamento dei vari frammenti che ne fanno parte, mettendo la sordina ai velenosi nazionalismi di ogni genere che alimentano la guerra col suo consueto corredo di atrocità di ogni genere. Ma soprattutto è l’unica in grado di tutelare la pace mondiale, oggi a fortissimo rischio.
Ogni altra conclusione di questa triste e tragica vicenda risulta del tutto illusoria e non produrrebbe altro risultato che quello di farci slittare irrimediabilmente verso il baratro della totale autodistruzione.
Joe Biden e i suoi accoliti probabilmente non vogliono questo finale tragico, ma lo mettono in conto. I loro adepti nostrani guardano con compatimento coloro che osano svolgere questo ragionamento elementare, tacciandoli di putinismo o, se va bene, guardandoli con un sorrisetto di sufficienza da grandi strateghi che fanno i conti colla dura realtà della vita e affrontano virilmente le sfide che essa ci pone.
Indubbiamente sono individui patetici che hanno messo le chiavi del loro destino in mano a un vegliardo malfermo e barcollante come Biden e un insulso burocrate invasato come Jens Stoltenberg.
Il guaio dell’era nucleare, però, è che tale delega in bianco a questi signori preoccupati esclusivamente della continuità del loro potere implica la possibilità di una guerra devastante e senza ritorno. Se ne resero conto Albert Einstein e Bertrand Russell e Lidia Menapace e non possiamo certo pretendere che lo capiscano Giorgia Meloni, Enrico Letta o Carlo Calenda. O il buon Guido Crosetto, che ha candidamente confessato di aver preso, beato lui, milioni di euro dal complesso militare-industriale italiano.
Tuttavia non basta invocare genericamente la pace, ma bisogna chiedere ai governanti italiani ed europei scelte precise in termine di fine dell’escalation, blocco del riarmo e negoziato. È con questa consapevolezza che scenderemo in piazza a Roma sabato 5 novembre. Ne va dell’avvenire dell’umanità, la quale è ricca di criminali e infarcita di cretini, ma ciò nonostante non è probabilmente il caso di rottamare definitivamente.