Osserviamo le piramidi per età dei paesi africani: tanti giovani e pochi anziani! Passiamo all’Italia: tanti anziani e pochi giovani! Come mai? In Africa ci sono pochi anziani perché l’età media è bassa: si muore giovani, sono pochi a diventare anziani! In Italia, invece, viviamo a lungo, e le generazioni si sovrappongono.
In ecologia, una materia che un pochino padroneggio, esiste un concetto chiave: la capacità portante, il numero massimo di individui di una specie che un dato ecosistema è in grado di sostenere. Raggiunta la capacità portante, la popolazione non può continuare a crescere perché non ci sono risorse per il surplus di individui. Si raggiunge la stabilità demografica. Quale è il numero massimo di umani che il territorio italico può sostenere? Dopo la tragedia bellica, grazie agli aiuti del Piano Marshall e non solo, l’Italia si avviò alla ricostruzione e i vuoti demografici causati dalla guerra furono riempiti da iniezioni di fiducia nel futuro: la popolazione andò incontro a un rapido aumento. Sono nato nel 1951, quando eravamo 47 milioni, oggi siamo 59 milioni, dopo un picco di 60 milioni e 345 mila nel 2014. Ci stiamo stabilizzando.
La speranza di vita nel 1959 era di 65,5 anni, oggi è di 81 anni per i maschi e 85.3 per le femmine. L’automazione dei sistemi di produzione è diventata la regola: ci siamo liberati dal lavoro. Risultato: disoccupazione rampante, bassi salari e precarietà. Chi non trova lavoro è costretto ad accettare impieghi temporanei e sottopagati. Con le delocalizzazioni i sistemi di produzione si spostano dove la manodopera costa poco. Per le produzioni che non si possono delocalizzare, penso all’agricoltura, importiamo manodopera a bassissimo costo. I giovani che laureiamo non trovano lavoro e emigrano. Quelli che restano hanno poche speranze di un futuro migliore. Chi emigra fa figli, chi rimane no.
A me, sinceramente, non preoccupa la stabilizzazione demografica, mi preoccupa la condizione economica e sociale degli umani in età riproduttiva. Prima si facevano tantissimi figli e non ci si preoccupava gran che del loro futuro. Mia nonna materna si chiamava Ottavia… le sue sorelle Teresa, Maria e Anita emigrarono negli Stati Uniti negli anni venti. Un fratello morì in Russia, un altro ce la fece e restò nel paese natìo, gli altri due morirono presto. La famiglia del nonno paterno, Vittorio, emigrò in Scozia e in Argentina. In Garfagnana c’era la fame e i nonni materni cercarono fortuna a Genova. I miei nonni paterni, genovesi, erano di famiglie con una fecondità meno prorompente: in città si figliava già meno che in campagna.
È inutile, per il saldo demografico, fare tanti figli se questi se ne vanno dal paese. Ora ci dicono che facciamo pochi figli: dobbiamo contribuire alla crescita del popolo italico, figliando come un tempo. Domandina: se avessimo fatto il doppio dei figli e il numero di italiani fosse cresciuto, invece di stabilizzarsi, ci sarebbe più lavoro? I salari sarebbero più alti? Si sarebbe fermata la fuga dei cervelli?
Osservare il calo demografico, non basta. Bisogna identificarne le cause. Per l’Italia credo che le cause siano evidenti: i giovani non hanno speranze per il futuro ma hanno un’istruzione sufficiente per tenere sotto controllo la propria fertilità, cosa che non sanno fare altre popolazioni con poche speranze. “Loro” sono disperati ma continuano a figliare e poi fuggono a cercare vite migliori, come facevano i miei nonni materni. Vengono qui, e fanno i lavori più umili e sottopagati. Contribuendo, inconsapevolmente, alla precarietà e ai bassi salari dei “nativi”. Perché assumere un italiano con diritti sindacali e un salario decente, quando puoi assumere un africano ricattabile che puoi licenziare quando vuoi, pagandolo una miseria?
Tornando alla capacità portante, comunque, è ovvio che gli italiani non possono diventare cento milioni. La crescita demografica, come quella economica, non può essere infinita. E se non può essere infinita, e si vive più a lungo, è ovvio che si debba arrestare. La nostra si è arrestata. Una specie che si è battezzata Homo sapiens dovrebbe essere in grado di governare la stabilizzazione, sia economica sia demografica, ed essere conscia che esistono limiti. Invece non lo capiamo e non governiamo razionalmente i limiti naturali della nostra espansione demografica ed economica. Se un individuo cresce troppo di peso si deve mettere a dieta: il suo peso deve decrescere. C’è differenza tra dieta e carestia. La dieta è un regime alimentare studiato scientificamente per riportare il peso entro certi limiti che garantiscano il benessere. La carestia è la mancanza di cibo dovuta a cause esterne, non pianificate da chi ne soffre.
La nostra popolazione è sottoposta a una dieta o a una carestia? Intanto diciamo che è sovrappeso, come lo è la nostra economia. Troppi umani e un’economia di rapina portano alla decrescita del capitale naturale, e questo porta a disastri incontrollati. Ci dobbiamo mettere a dieta. Non lo stiamo facendo in modo razionale. La stabilità economica e la stabilità demografica non prevedono crescite infinite, ma si lascia che siano cause esterne a determinare i limiti. Quando ci sono le crisi ci sorprendiamo. Inconsapevoli che le decrescite siano causate da crescite eccessive. La transizione ecologica richiede che ci si renda finalmente conto che tutto ha un limite, incluse l’economia e la demografia. Dobbiamo imparare a rispettare i limiti.