I blindati con milioni di euro a bordo, i tir carichi di sigarette e perfino i camion che trasportavano cialde di caffè. Tutto era business. E proprio come un’azienda ragionavano le 17 persone arrestate dalla Squadra mobile di Foggia e di Bari al termine di un’inchiesta, coordinata dalla procura di Foggia, perché ritenute appartenenti o fiancheggiatori di una spietata associazione per delinquere che tra il 2020 e il 2021 avrebbe messo a segno numerosi assalti a portavalori e trasporto merci sulle principali arterie stradali della Puglia e non solo. Avevano il “know how”, come lo ha definito Francesco Messina, direttore centrale dell’Anticrimine, e utilizzato, come scrive il giudice per le indagini preliminari, un “approccio criminale marcatamente paramilitare”.
Ogni assalto era una guerra: divise, armi pesanti, uso di esplosivi e di disturbatori di frequenze erano il pane quotidiano per Giuseppe Bruno e Vincenzo Mundo, ritenuti i capi, e gli uomini considerati partecipi della loro banda che veniva modulata di volta in volta a seconda della difficoltà del colpo da eseguire. Il primo è di Cerignola, la ‘capitale’ degli uomini specializzati negli assalti, e il secondo di Bitonto, la principale ‘associata’ nei colpi grossi. Ci sono decine di assalti e indagini passate a testimoniarlo e anche un indizio raccolto in questa inchiesta conferma come l’operatività andasse avanti da anni, probabilmente da un decennio. Alcuni bossoli ritrovati sul luogo di un assalto contestato nell’inchiesta, secondo gli esperti, sarebbero stati esplosi dalla stessa arma utilizzata per un altro colpo che risale al 2011. E Bruno, intercettato, si stava già premurando di preparare il figlio di 25 anni, arrestato anche lui, per raccogliere la sua “eredità” al comando della banda. Una vera e propria scuola del crimine.
Per i poliziotti, inoltre, il modus operandi del gruppo prevedeva una struttura organizzativa stabile e collaudala oltre che “un assetto logistico assimilabile per certi versi, ad un vero e proprio ‘modello aziendale’ di stampo criminoso”. Il gruppo infatti, non solo “pianifica in maniera accurata ciascun assalto” con sopralluoghi e monitoraggi del transito dei veicoli da rapinare, ma addirittura “prepara la scena del crimine già alcune ore prima del colpo”: gli inquirenti hanno accertato che alcuni membri del gruppo si occupavano del “taglio o smontaggio” di porzioni di guardrail, predisponevano catene e bidoni con chiodi a quattro punte e piazzavano persino dei mezzi da utilizzare per bloccare il veicolo blindato e prepararsi le vie di fuga. Un’azione istantanea durante la quale venivano utilizzate almeno dieci persone “con ruoli ben definiti in ogni fase”.
Uno dei vigilanti bloccati dal commando durante uno dei colpi, lo ha raccontato ai poliziotti: un membro del gruppo, quello che sembrava dirigere le operazioni, in quei frangenti era al telefono e urlava “avete aperto il varco… avete aperto il varco”. Uno di quei capi, per la procura di Foggia guidata da Ludovico Vaccaro, è Giuseppe Bruno, 54enne di Cerignola. Per gli inquirenti era lui a supervisionare tutte le fasi dell’operazione, con un’attenzione quasi maniacale. Bruno era consapevole che la posta in gioco è alta: “Perché una distrazione – spiegava un giorno al figlio Salvatore, ignaro di essere ascoltato – è fatale! Non andiamo a giocare a biglie, noi andiamo a fare le rapine! Le rapine sono 5-6 anni che ci togliamo della vita nostra! Le rapine non sono il furtarello, questi appena sentono rapina già si mettono addosso come leoni. La gioia loro! I blindati? La gioia loro! La gioia loro! Quanti ne erano? 1, 10, 50, 100 si mettono addosso… perciò… quando loro non hanno traccia da cui avviarsi si fanno il trimone“. Non bisogna lasciare tracce insomma, così gli investigatori non sapranno come portare avanti un’indagine.
Una predisposizione al comando che Bruno cercava di trasferire al figlio. Il 9 marzo scorso, i poliziotti lo ascoltano durante una “lezione” in famiglia: “Oggi ce ne dobbiamo andare di qua quando mi hai dello ‘Si ho capito’. (…) Tu coordinerai il lavoro Salvatore, è importante. Tu devi imparare a fare questi fatti. (…) Se ti impari a fare sti fatti papà tu gestisci sempre’ la situazione… capito? Devi avere il cervello di capire. Perché tutto questo movimento, papà, non tutti lo capisc… non c’è chi tiene l’esperienza cioè io e… è una vita che stiamo in mezzo alla strada, le so… e tu te le devi imparare, tu le devi imparare non gli altri. Devi fare andare sotto gli altri. Domani tu devi gestire. Eh.. ‘vuoi venire’ si… altrimenti vattene a casa. Saranno gli altri che verranno a romperti i coglioni a dirti ‘mi porti insieme?’. Sei tu che devi comandare e… non devi sbagliare, perché devi essere d’esperienza”. Una sorta di lascito testamentario. Quella conversazione captata nell’auto per gli investigatori è il passaggio di consegne tra padre e figlio in una sorta di “investitura nelle nuove generazioni”.
Il primo episodio documentato dagli inquirenti riguarda la rapina consumata il 10 agosto di due anni sul tratto autostradale A14 tra Cerignola est e Canosa di Puglia ai danni di un portavalori. Due mezzi di trasporto di tabacchi sono stati oggetto di una rapina consumata il 15 settembre 2020 ad Angri e di un’altra tentata a Zapponeta, nel Foggiano. Contestata anche un’altra tentata rapina il 12 marzo 2021 a Sillavengo, in provincia di Novara, ai danni di un trasporto merci. Colpi realizzati con la cura dei dettagli anche nelle strumentazioni utilizzate. Come i disturbatori di frequenza ad ampio raggio, i cosiddetti “jammers”, in grado di inibire le comunicazioni telefoniche, via radio e via web durante l’esecuzione di ciascun assalto. Così le vittime e i passanti erano tutti isolati: i jammers impedivano non solo i contatti con le sale operative delle forze dell’ordine e delle ditte di trasporto, ma persino il tracciamento gps dei veicolo.
“Esiste a Cerignola un know how specializzato che continua a creare adepti con capacità di affiliazione e ricorso a manodopera sempre pronta ad agire”, ha spiegato il prefetto Francesco Messina, direttore centrale dell’Anticrimine. Secondo il procuratore aggiunto di Foggia, Antonio Laronga, c’erano “i ladri, ovvero quelli che fornivano i mezzi alla banda da incendiare poi i soldati, ovvero gli autisti che durante i colpi usavano le armi da guerra come i kalashnikov, e i ‘cassettari’, gli specialisti della fiamma ossidrica che nell’arco di pochi secondi erano capaci di tagliare i blindati”. Per Laronga la mafia foggiana “non considera questa banda come un fastidio da reprimere perché i loro colpi non disturbavano la loro attività illegale quotidiana, anzi alcuni affiliati partecipano anche agli assalti”. Per il direttore del Servizio Centrale Operativo, Fausto Lamparelli, si tratta di “soggetti che non nascono rapinatori da un giorno all’altro ma di veri e propri professionisti”.