Sono 985 le persone in attesa di un porto sicuro su tre diverse navi di salvataggio: ancora nessuna risposta da Parigi, Atene e Madrid. La Commissione europea chiede ai Paesi membri di mettere a disposizione i propri porti nel più breve tempo possibile per garantire aiuto e soccorso ai naufraghi, invitando però tutti gli Stati membri a una maggiore solidarietà intraeuropea. Il ministro degli Esteri Tajani: "Abbiamo chiesto soltanto il rispetto delle regole, lo abbiamo fatto in maniera ufficiale, con grande garbo ma anche con grande fermezza", ha detto al termine di un incontro col governo di Berlino
Mentre continua lo scontro diplomatico tra Italia e Germania dopo la richiesta inviata da Berlino riguardo all’assistenza che Roma dovrebbe dare alle navi delle ong impegnate nel salvataggio di naufraghi nel Mediterraneo, le organizzazioni denunciano situazioni di crisi a bordo delle loro imbarcazioni e decidono di bypassare il nuovo governo di Giorgia Meloni. La Ocean Viking di Sos Mediterranee, con a bordo 234 migranti soccorsi al largo della Libia, ha infatti chiesto assistenza a Grecia, Spagna e Francia: “Nonostante le ripetute richieste ai centri di coordinamento per il soccorso di Malta e Italia – dicono – non è stato ancora indicato un porto sicuro” alla nave “che rimane nell’incertezza”. “Questo blocco in mare – sottolinea il coordinatore della ong Nicola Stalla – non è solo moralmente vergognoso ma disattende importanti previsioni legislative del diritto marittimo internazionale e del diritto umanitario”. Sulle posizioni di Stalla anche l’Unione europea che, per bocca della portavoce della Commissione, Anitta Hipper, ha dichiarato: “Stiamo seguendo la situazione a stretto contatto e abbiamo visto che ci sono tre navi con persone a bordo che hanno chiesto aiuto. La Commissione non è responsabile del coordinamento, occorre sottolineare che è un obbligo morale e legale” salvare persone in mare.
Adesso, però, non c’è più tempo da perdere, fanno sapere gli operatori, a causa delle condizioni estreme alle quali sono sottoposti da giorni i naufraghi a bordo. “Devono sbarcare urgentemente, ecco perché abbiamo chiesto alle autorità marittime di Grecia, Spagna e Francia, che sono le più ‘in grado di fornire assistenza’ (come recitano le norme internazionali), di facilitare la designazione di un porto sicuro per lo sbarco di uomini, donne e bambini”. E attaccano poi il comportamento delle autorità italiane e maltesi che continuano a non dare alcuna risposta alle richieste di aiuto: “Hanno voltato le spalle a queste donne, bambini e uomini – insistono – La situazione a bordo della Ocean Viking sta precipitando, le previsioni meteo annunciano vento forte, onde alte e un abbassamento delle temperature entro la fine della settimane e le scorte si stanno esaurendo. I naufraghi devono sbarcare senza ulteriori ritardi. Siamo di fronte a un’emergenza assoluta e ogni ulteriore giorno di attesa potrebbe avere conseguenze potenzialmente letali”.
A preoccupare gli operatori non sono però solo le condizioni fisiche delle persone soccorse. Esiste infatti anche una pesante preoccupazione riguardante la tenuta psicologica di queste persone: “Nei loro Paesi di origine, nel viaggio verso la Libia e in mare, alcuni dei sopravvissuti hanno assistito alla morte dei loro compagni di viaggio o hanno subito violenze estreme – spiega lo psicologo che si trova a bordo della Humanity 1 – Molti di loro hanno dovuto guardare amici o familiari annegare, cadendo dal gommone la notte prima del loro salvataggio. Proprio per questo la maggior parte dei minori a bordo mostra condizioni psicologiche critiche e chiare conseguenze degli eventi traumatici vissuti. Ogni giorno, il loro bisogno di raggiungere un luogo sicuro diventa più urgente”.
Se si somma il numero di persone a bordo della Ocean Viking (234), di Humanity 1 (179) e di Geo Barents (572), sono ben 985 i migranti in attesa di un porto sicuro nel quale sbarcare per ricevere le cure e l’assistenza necessaria. “Le tre navi – aggiunge Sos Mediterranee – hanno inviato ripetute richieste di un porto sicuro ai Centri di coordinamento del soccorso marittimo più capaci di fornire assistenza, ossia Malta e l’Italia. Senza risposte. Siamo di fronte a un silenzio assordante. Oltre a questo silenzio, che ormai da anni è triste prassi, il 25 ottobre scorso il nuovo ministro dell’Interno italiano Matteo Piantedosi ha emesso una direttiva con la quale avvertiva le forze di polizia e le Capitanerie di Porto che il Viminale stava ‘valutando’ il divieto d’ingresso della nostra nave nelle acque territoriali italiane. Un divieto implicito perché mai comunicato alla nostra imbarcazione in alcun modo”. Così la ong esorta “gli Stati membri europei e gli Stati associati a rispettare i loro obblighi e ristabilire un sistema di sbarco prevedibile. È necessario alleviare la pressione sugli Stati costieri europei che non possono essere lasciati da soli a farsi carico di un problema che riguarda l’intero continente. Tale sistema deve però garantire la possibilità di sbarcare i sopravvissuti nel porto sicuro più vicino alla zona in cui vengono condotte le operazioni di ricerca e soccorso. I naufraghi soccorsi in mare non possono essere l’oggetto di dibattiti politici”.
A difesa della posizione italiana è intervenuto anche il ministro degli esteri, Antonio Tajani, che ha voluto precisare come sull’immigrazione “abbiamo chiesto soltanto il rispetto delle regole, lo abbiamo fatto in maniera ufficiale, con grande garbo ma anche con grande fermezza – ha detto a Berlino intervistato dalla Rai – Con un Paese amico e grande interlocutore come la Germania dobbiamo collaborare tantissimo, poi quando c’è da dare qualche messaggio, soprattutto sul tema dell’immigrazione, lo facciamo con determinazione, ma per garantire il rispetto delle regole. Abbiamo chiesto che le navi delle ong rispettino le regole europee quando salvano qualcuno in mare e poi chiedono di attraccare nei porti più vicini”. La sua tappa nella capitale tedesca, prima di recarsi al G7 Esteri di Münster, gli è servita per partecipare al summit sui Balcani occidentali presso la cancelleria di Olaf Scholz. Anche in quell’occasione il capo della Farnesina ha ripetuto che “serve una collaborazione fra tutti i Paesi europei, ma anche con i Paesi dei Balcani, per fermare l’immigrazione illegale perché rischia di diventare un problema sempre più grave per tutti quanti noi”. Tajani ha ribadito il concetto anche nell’incontro con la sua omologa tedesca, Annalena Baerbock, affermando che “serve un maggior coordinamento europeo, a partire dal dossier migrazioni. Ho ribadito la posizione italiana sulle navi delle ong. Devono anche loro rispettare le regole europee. Lavoreremo insieme per la pace in Ucraina“.
La Commissione europea chiede che gli Stati membri si facciano carico delle persone bisognose di aiuto nel più breve tempo possibile, ma contemporaneamente torna a chiedere anche una maggiore solidarietà intraeuropea in tema di immigrazione. E spiega che sta attivamente sostenendo il Consiglio e il Parlamento per attivare il trilogo il prima possibile sulla proposta per l’immigrazione ora che è stato raggiunto un accordo politico per concludere il lavoro entro il 2024. Per quanto riguarda invece il meccanismo di solidarietà sul trasferimento dei migranti, al momento si registrano 8.000 offerte di relocalizzazioni e 38 candidati che hanno accettato. Meccanismo che può essere utilizzato anche per ridistribuire i migranti al momento bloccati sulle navi al largo dell’Italia.
Il meccanismo temporaneo di solidarietà è stato concordato nel giugno scorso su iniziativa della presidenza di turno francese per rispondere alle difficoltà migratorie degli Stati membri di primo ingresso che si affacciano sul Mediterraneo. A firmarlo sono stati 18 Paesi dell’Ue – tra cui l’Italia – e tre Paesi associati. Il contributo assume la forma di ricollocamento o, per i Paesi che non accettano questa forma di solidarietà, si prevedono altri contributi o finanziari o di personale per la gestione dei confini. I firmatari, oltre a Roma, sono Germania, Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Spagna, Finlandia, Francia, Grecia, Irlanda, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Norvegia, Svizzera e Liechtenstein. Mentre Polonia, Ungheria, Austria, Danimarca, Estonia, Lettonia, Slovacchia, Slovenia e Svezia non hanno aderito.