di Massimo Chisari
Inflazione, crisi energetica, sanità, lavoro precario e recessione. Sono i principali problemi del Paese e i punti all’ordine del giorno che andrebbero affrontati con urgenza. La retorica del discorso di Giorgia Meloni però non li considera. È più facile pensare ai condoni, all’abolizione dell’abuso d’ufficio e all’aumento dell’uso dei contanti a 10mila euro, misure sicuramente ben viste da evasori, furbetti e chi vive di intrallazzi.
Inoltre Meloni affossa il salario minimo e dà la colpa alle tasse per gli stipendi da fame. Ipotizza di tagliare il cuneo fiscale, ma non si capisce con quali soldi visto che non vuole nemmeno considerare uno scostamento di bilancio per non infastidire i burocrati di Bruxelles. Sono le contraddizioni iniziali di un governo in piena continuità con l’agenda Draghi.
Inflazione. Crisi energetica. Recessione. L’ultimo punto, una chiara conseguenza dei primi due che rischia, come ho già espresso in altre occasioni, di creare una nuova platea di persone in ristrettezza economica quando, dati alla mano, già nel 2021 il 25,4% della popolazione era a rischio povertà ed esclusione sociale. Un dato che diventa maggiormente preoccupante, se si pensa alla stima del Fmi: durante il 2023 la disoccupazione in Italia tornerà al 9,4%.
Nel frattempo Meloni dice che verrà garantito un futuro di maggiore libertà, di giustizia, di benessere e di sicurezza. Beh, se uno dei riferimenti citati dalla neo premier è Marta Cartabia, si intuisce la strada che la Giustizia potrà prendere. L’effetto svuota carceri dell’ex Guardasigilli già rischia di mettere in difficoltà il neo ministro Carlo Nordio, mentre dal primo novembre una serie di reati sono punibili soltanto con una querela della vittima. Tutti i furti, ma anche lesioni stradali gravi, sequestri di persona e truffe semplici. Una giustizia in caduta libera, considerato che è già stata manifestata l’intenzione di eliminare l’abuso d’ufficio.
Il discorso di Meloni non tocca le emergenze e non offre soluzioni. Tutto rinviato sulla tassazione degli extraprofitti e sul contenimento dei costi energetici in bolletta. Nulla di nulla sulla sanità. E mentre gli stipendi italiani sono gli unici in Europa ad essere più bassi di 30 anni fa, la nuova premier pensa ad affossare il salario minimo, con buona pace per quel maggior benessere che paventa, in stile Cetto la Qualunque (Antonio Albanese docet).
Nella sua logica, quella della neo premier è del resto comprensibile: la colpa è delle imposte. E in tal senso Meloni auspica un taglio del cuneo di 5 punti percentuale, senza però accennare dove troverà i soldi per farlo. Questione di retorica? Nel frattempo non fa niente se, al netto delle imposte, c’è chi viene pagato 600-700 euro proprio perché un minimo salariare non esiste e non tutti i lavori sono coperti dai Contratti nazionali. Questo a prescindere dal fatto – qualcuno però lo dica a Giorgia Meloni – che senza una soglia per legge, il salario ad esempio imposto a portieri e receptionist è di 4 euro all’ora (è la somma prevista dal contratto collettivo dei Servizi fiduciari). Il MoVimento si propone di portare il minimo salariare per chiunque a 9 euro l’ora.
Per concludere, Meloni invoca per le prossime fasi di sviluppo del Paese i fondi del Pnrr da cui pescare. Beh, come Giuseppe Conte le ha già ricordato, Fratelli d’Italia aveva votato contro il Next Generation Eu e il Pnrr. Quindi, se fosse stato per loro, a quest’ora non avremmo avuto quei fondi oggi determinanti per lo sviluppo del nostro Paese.