Elon Musk ha acquistato Twitter per liberarlo. Lo ha confermato lui stesso celebrando l’operazione da 44 miliardi di dollari con un tweet chiaro: “the bird is freed”. Lo ha fatto perché ritiene Twitter una piazza democratica che, in quanto tale, deve restare aperta a molteplici punti di vista per il bene dell’umanità.
L’acquisizione di Musk ha una funzione politica, prima che tecnologica. Il Ceo di Tesla e SpaceX ha riscontrato una deriva a sinistra di Twitter ed è intervenuto con finanze personali per raddrizzare il tiro. Sa che non guadagnerà davvero da questa operazione. Ma è anche consapevole che non ne ha bisogno.
I social media in origine erano nati in antitesi ai media tradizionali. Ci avrebbero dovuto liberare da una narrazione mediatica guidata dal potere politico – la narrazione di tv, radio e carta stampata. Ci avrebbero restituito, in cambio, delle piazze digitali libere e neutrali – piazze in cui dare spazio a tutte le voci. Poi sono arrivati gli algoritmi e la situazione è cambiata. I contenuti prodotti da persone e aziende hanno iniziato a non essere più distribuiti nelle nostre homepage in ordine cronologico. Ancora oggi, infatti, gli algoritmi regolano la visibilità dei post sulla base della rilevanza che possono avere per noi.
Gli utenti hanno presto scoperto una cosa: gli algoritmi sono, sì, strumenti informatici, ma funzionano sulla base di regole stabilite da esseri umani. Operano in autonomia, ma sono creati da persone. E siccome le persone sono fallibili per natura, anche gli algoritmi dei social media possono sbagliare. Sono infatti persone, con le loro visioni e i loro pregiudizi, a governare cosa viene mostrato e cosa rimosso dai social media. E senza accorgersene sono diventate il nemico che combattevano in origine: la cassa di risonanza di un credo politico che oscura le voci contrarie bollandole come disinformazione e hate speech.
Che le aziende tech americane siano poi di sinistra lo dicono i dati. Nel 2020 le big tech hanno raccolto donazioni dai dipendenti in vista delle elezioni. I democratici hanno ricevuto donazioni dal 98% dei dipendenti di Netflix e dall’88% di quelli Google. E ancora: 84% Apple, 77% Amazon e sempre 77% Facebook.
Algoritmi e bias sono dunque diventati una combinazione letale. Dopo la vittoria di Donald Trump del 2016 i social media hanno iniziato a ricevere pressioni dalla sinistra americana per alzare l’asticella della censura. L’invito è stato prontamente accolto da management e dipendenti dei colossi dei social media. L’obiettivo iniziale era salvaguardare la democraticità delle piattaforme. Il risultato finale è stato metterla in discussione. Punti di vista contrari al pensiero unico hanno trovato sempre meno spazio sui social media. Gli algoritmi hanno iniziato ad epurare o togliere visibilità a persone e aziende non allineate.
L’arrivo di Elon Musk interrompe la deriva. Il licenziamento immediato di alcuni top manager di Twitter – tra cui il Ceo, il Cfo e il legal chief – invia un messaggio chiaro: la nuova direzione aziendale non sarà in continuità col passato. Verrà istituito un consiglio bipartisan per decidere come moderare i contenuti.
Twitter, ci si augura, tornerà la piazza aperta che era in origine. Da sempre rappresenta l’unico vero social network in cui le persone dialogano alla pari su temi di attualità. Tutti gli altri social sono infatti principalmente piattaforme di consumo passivo dei contenuti. Da qui l’utilità per il mondo di liberare Twitter.