La guerra è fatta di cadaveri e di ferite, di indicibile dolore e sofferenza, e di malattie fisiche e mentali. Di fronte all’aggressione all’Ucraina da parte della Russia di Vladimir Putin l’opinione pubblica europea e mondiale vuole la Pace. E tutti vorremmo ovviamente anche una pace giusta. Per me, la pace giusta è quella realisticamente possibile ed è quella che risparmia vite umane e sofferenze al popolo ucraino.

Un gruppo di intellettuali – come Erri De Luca, Paolo Flores d’Arcais, Gad Lerner, Dacia Maraini, Pancho Pardi, Corrado Stajano e altri – ha promosso sulla rivista Micromega un appello che afferma che “tutti parlano e straparlano (sic) di Pace, tutti vogliono la Pace. La questione cruciale è in cosa consista la pace. Pace vuol dire il ritiro dell’aggressore entro i suoi confini, ogni altra soluzione sarebbe un premio a chi la pace l’ha violata, sterminando civili, violentando donne, massacrando e torturando”.

La sola “pace” invocata in questo appello prevede quindi il ritiro della Russia dall’Ucraina in ogni parte del suo territorio. Se questo fosse solamente un auspicio sarei assolutamente d’accordo e credo che tutti sarebbero d’accordo. Purtroppo però il manifesto degli intellettuali dà indicazioni gravemente erronee: quelle che per ottenere la “pace giusta” la guerra debba continuare fino alla sconfitta definitiva di Putin.

La “pace giusta” basata sulla completa sconfitta di Putin invocata dagli intellettuali e dai filosofi, a mio parere, è nel medio periodo talmente improbabile da essere praticamente impossibile e quindi non da mettere in conto come traguardo raggiungibile. La “pace giusta” invocata nell’appello, almeno nella fase attuale, non è plausibile. Io – e non solo io naturalmente – farei invece salti di gioia per una pace magari “zoppa” fondata su un compromesso accettabile dalle parti in causa, aggressore e aggredito (e possibilmente a favore più dell’Ucraina che di Putin).

Tutti dovremmo lavorare perché si raggiunga un compromesso che possa cessare il macello della guerra, che possa fermare l’escalation e che non comprometta poi la possibilità di avere una “pace più giusta”. L’appello promosso da Micromega per una “pace giusta” è talmente ingenuo da essere fuorviante e da compromettere ogni prospettiva di pace. Per tanti motivi.

L’appello in questione non menziona neppure l’America e questo è politicamente imperdonabile. Solo un cieco non vede che un accordo tra Russia e Usa è la sola premessa per la “pace giusta” in Ucraina. Basti dire che prima dell‘invasione dell’Ucraina, l’amministrazione americana ha disdetto unilateralmente gli accordi nucleari con la Russia per comprendere come la pace giusta sia impossibile senza il contributo assolutamente decisivo degli Usa.

Inoltre non si può dimenticare che i rappresentanti europei (e anche quelli ucraini) non sono stati ammessi (nonostante le proteste) alle negoziazioni tra Russia e Usa sull’Ucraina, prima che l’invasione scoppiasse. Quindi un appello per una “pace giusta” dovrebbe, a mio parere, prevedere innanzitutto un ruolo dell’Europa in questo conflitto, altrimenti è del tutto inefficace.

C’è un altro motivo per cui una pace giusta con la vittoria completa dell’Ucraina appare impossibile: i politici e gli intellettuali che pretendono una pace giusta non considerano un fatto che non è di poco conto e che è francamente imperdonabile ignorare. La Russia è una potenza atomica e la guerra in Ucraina, per Putin e per molti russi, sciovinisti e anche non sciovinisti, è una terra “quasi-russa”, dove vivono molti russi e dove anche sono stati oppressi molti russofoni e russofili.

Questo ovviamente non giustifica per nulla l’aggressione di Putin – così come l’ingiusto trattato di Versailles non giustifica per nulla le guerre e gli stermini di Hitler – ma deve farci riflettere. Sul piano concreto Putin non si ritirerà mai dalla Ucraina così facilmente come fu per Michail Gorbačëv ritirarsi dall’Afghanistan. Il dittatore Putin non mollerà facilmente la Crimea, il Donbass e le terre che considera russe.

In questo senso, la minaccia di un conflitto atomico non è solo un bluff di Putin, ma è una possibilità reale, perfino probabile: ignorarla è da irresponsabili. Putin, a meno che non venga rovesciato dal suo popolo o dai suoi colleghi di governo (poco probabile) non rinuncerà mai a ottenere dei risultati in Ucraina e con gli Usa, anche a costo di usare l’atomica. E realisticamente, al di là dei nobili propositi degli intellettuali, se Putin scatenasse la forza atomica tattica, difficilmente l’Occidente potrebbe reagire con pari forza perché nessuno, né gli americani, né tantomeno gli europei, rischierebbe la vita dei suoi cittadini e l’Armageddon per le terre ucraine. Se l’Occidente e la Nato avessero voluto difendere effettivamente e con il necessario sacrificio l’Ucraina, l’avrebbero già fatto.

Questo significa allora che dobbiamo arrenderci all’invasore? No, assolutamente, non è questo il punto. L’Occidente deve far pagare un prezzo altissimo a Putin per la sua aggressione, ma nello stesso tempo non dovrebbe farsi illusioni su una vittoria completa contro l’invasore in tempi brevi. E non alimentare illusioni sbagliate alla dirigenza dell’Ucraina. L’appello degli intellettuali corre il rischio di dividere, in maniera settaria, tutti quelli che vogliono la Pace. Queste divisioni inutili hanno rovinato la sinistra in tutti questi anni.

Il conflitto deve cessare al più presto semplicemente perché altrimenti la guerra proseguirebbe con altre decine e centinaia di migliaia di morti e la distruzione di un intero paese. L’unica pace giusta, almeno per ora, è la pace possibile. Quella che Putin non vuole.

L’intellettuale più fine anche in questa occasione è Papa Francesco: il suo grido è per la pace ora! Occorre prima di tutto fare cessare le armi. Purtroppo questa pace la Russia di Putin oggi non la vuole e bisognerebbe che l’Occidente gliela imponesse certamente con la forza delle armi – come ha fatto finora e come dovrebbe continuare a fare – ma anche grazie alla diplomazia e all’arte della mediazione e del compromesso. Per tutte le paci possibili bisogna scendere in piazza il 5 novembre. Anche senza illudersi sulla piena vittoria finale.

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