Uno straordinario talento che ha abbracciato la danza, il cinema e la musica. Il biopic “Bosè”, disponibile su Paramount+, è non solo la celebrazione dell’artista, ma anche un ritratto intimo e personale. Molto si capisce dell’uomo e dell’artista Miguel Bosè, analizzando il rapporto con due genitori famosi e – in un certo senso – ingombranti come l’attrice Lucia Bosè e il torero Luis Miguel Dominguin. Nel 1968 la tumultuosa relazione dei genitori giunge al termine dopo 13 anni e decidono di separarsi, uno scandalo all’epoca per la Spagna conservatrice. All’età di 11 anni, la separazione ha un grande impatto su Miguel, segnando così l’inizio del cambiamento della sua personalità in un personaggio seducente e dirompente. Ogni episodio della serie – che ha visto la collaborazione attiva dell’artista stesso – è incentrato su una diversa canzone di Miguel Bosé e ripercorre momenti cruciali della vita dell’artista attraverso dei flashback. Valeria Solarino, unica attrice italiana del cast, interpreta proprio Lucia Bosè e l’abbiamo incontrata.
Chi è stata Lucia Bosè?
Un personaggio pieno di sfaccettature. Per me la sfida, la difficoltà, ma anche il piacere è stata quella di andare a cercare tutti i colori che la componevano. Il lavoro che ho fatto è stata la ricerca per capire com’era: ho visto un sacco di interviste e la cosa che mi ha colpito molto è stata il carattere sicuro, era determinata ed elegante.
C’è una intervista che ti ha colpito?
Durante una intervista doppia con il figlio, l’intervistatrice chiede a Miguel di rivolgersi alla madre e farle una domanda che non le aveva mai fatto. Lui l’ha guardata begli occhi e le ha chiesto: ‘Mi vuoi bene?’. Lei. imbarazzata, è scoppiata a ridere.
Che spiegazione ti sei data?
Non era fredda. Era riservata, fragile, bisognosa di amore e aveva anche paura d’amare. Ho letto la sua biografia ed era una donna segnata dalla paura della perdita, sin da bambina. Il rapporto con Miguel era molto complicato perché lei lo ha spinto e incoraggiato nell’espressione della sua personalità, prima come attore, poi con la musica e il ballo ed è stata anche la sua manager. Ma alla sua affermazione equivaleva anche il distacco, così si sentiva abbandonata. Prima che madre si sentiva, figlia.
Qual era il rapporto con il figlio Miguel?
Avevano un amore che si portava dietro tante altre cose. Sicuramente è diventato un rapporto di possesso, gelosia, dipendenza…Lei lo amava profondamente e cercava di trasmettergli il senso di libertà e la ricerca dell’identità. Lui lo ha fatto sempre. Era ed è un artista esplosivo, ha fatto tesoro degli input della madre che però era una donna piena di contraddizione e l’amore è diventato possesso.
Cosa ha rappresentato per te Miguel Bosè?
Lo ascoltavo e mi piaceva molto. Mi ha sempre trasmesso una sensazione di allegria e ho scoperto che per ogni sua performance c’era dietro uno show esplosivo di colori, abiti e trucchi. Non aveva paura di mostrarsi, esprimendosi sempre in totale libertà.
Nel 2022 oltre il 60% della popolazione non si è mai recata al cinema. Come te lo spieghi?
È sicuramente un momento difficile il cinema italiano, che aveva avuto una piccola ripresa appena prima dell’inizio della pandemia nell’inverno 2019. poi hanno chiuso tutto, portando dietro di sé la paura per il Covid e la condivisione di uno spazio chiuso. Dall’altra parte si è assistito all’esplosione delle piattaforme che hanno reso la fruizione più immediata.
C’è ottimismo per il futuro?
Penso che l’esperienza della sala cinematografica rimane e rimarrà unica perché un film fatto per il cinema ha un linguaggio diverso rispetto a un racconto fatto per una serie. Il cinema ha un linguaggio autentico dal punto di vista autoriale anche se credo che la società stia andando – purtroppo -verso una frammentazione della comunicazione. Oggi ci sembra di avere a disposizione una moltitudine di cose e tutte accessibili ma non andiamo a fondo a queste cose. Questo accade anche nei media così come all’arte.