"Non è ancora stata presa una decisione", dicono dal Viminale a Ilfattoquotidiano.it. Ma l'idea contempla la possibilità per i naufraghi soccorsi dalle navi delle ong di presentare la propria richiesta di protezione internazionale già prima dello sbarco sulla terraferma. Questo sposterebbe le responsabilità dell'accoglienza dai Paesi che offrono i loro porti a quelli di bandiera della nave, essendo essa formalmente territorio nazionale
“Un’opzione percorribile ma non ancora valutata”. Così dal Viminale rispondono alle richieste di chiarimento de Ilfattoquotidiano.it dopo le indiscrezioni diffuse da Repubblica secondo le quali il nuovo ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, sta valutando la possibilità di spingere migranti e operatori a bordo delle navi delle ong a favorire le domande di protezione internazionale già a bordo delle imbarcazioni. In questo modo, la pratica verrebbe avviata formalmente sul territorio dello Stato di bandiera delle navi, alleggerendo il flusso di domande in arrivo nei Paesi costieri, come l’Italia, che così potrebbero offrire i loro porti per uno sbarco rapido e il trasferimento nei Paesi coinvolti. Un’ipotesi, mentre si aggrava la situazione dei naufraghi a bordo delle tre navi al largo delle coste italiane, che aggirerebbe i Trattati di Dublino, penalizzanti per i Paesi di primo approdo, su tutti Italia, Grecia, Malta e Spagna. Ma secondo l’avvocato Guido Savio, esperto di diritto delle migrazioni e membro dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi), “si tratta soprattutto di una boutade politica e difficilmente realizzabile. Anche perché richiederebbe modifiche delle normative interne dei singoli Stati membri”.
LE RICHIESTE DIRETTAMENTE SULLE NAVI – “Non è ancora stata presa una decisione e non avverrà nel breve termine. Ma non possiamo escludere una valutazione in tal senso. Stessa cosa vale per altre possibili soluzioni”, chiariscono dal ministero. Ma l’idea stuzzica il nuovo governo che presto dovrà dare una risposta all’impasse nel Mediterraneo. La proposta, tra l’altro, non provocherebbe nemmeno un pericoloso scontro diretto con l’Europa, come avvenuto con la “chiusura dei porti” voluta dall’ex titolare del Viminale, Matteo Salvini, ma aggirerebbe le regole di Dublino spingendo tutti gli Stati interessati a sedersi a un tavolo e ridiscutere la normativa sull’accoglienza europea. L’idea contempla la possibilità per i naufraghi soccorsi dalle navi delle ong di presentare la propria richiesta di protezione internazionale già prima dello sbarco sulla terraferma. Questo sposterebbe le responsabilità dell’accoglienza dai Paesi che offrono i loro porti a quelli di bandiera della nave, essendo essa formalmente territorio nazionale. A queste condizioni l’Italia, ma anche gli altri Stati costieri, potrebbero offrire rapidamente un porto sicuro e organizzare immediatamente il trasferimento verso i vari Stati nei quali è stata presentata la domanda e che saranno quindi incaricati di esaminarla.
In questo modo l’Italia si libererebbe dalla morsa dei Trattati di Dublino che, ad oggi, riversano sui Paesi di primo approdo la responsabilità di accogliere e gestire le richieste di protezione internazionale delle persone arrivate sul loro territorio. Una disposizione che negli anni ha messo sotto pressione questi Paesi, mentre nel resto d’Europa è stata dimostrata scarsa solidarietà tra Stati membri. In tutti questi anni, l’unica intesa raggiunta, e solo tra 19 cancellerie sulle 27 parte dell’Ue, è stata quella dello scorso giugno con il Patto Migrazione e Asilo. Questo prevede che i Paesi aderenti siano obbligati a fornire una qualche forma di sostegno a scelta tra l’ospitare una quota di migranti sul proprio territorio, farsi carico di alcuni rimpatri o fornire contributi finanziari o sotto forma di personale al Paese sotto pressione. Troppo poco per ridare fiato alle strutture d’accoglienza ingolfate nei Paesi di primo approdo.
“PROPOSTA DIFFICILMENTE REALIZZABILE” – L’ipotesi che circola nelle stanze del Viminale deve fare i conti però con la mancanza di volontà e la scarsa solidarietà intraeuropea dimostrata in questi anni dai governi. Anche per questo, secondo Savio, è destinata a rimanere solo un’idea o, al massimo, una provocazione. “Mi sento di dire che, nel caso in cui dovesse concretizzarsi, si tratterebbe più di un’operazione politica con l’obiettivo di lanciare un messaggio forte all’Europa, ma difficilmente realizzabile. La reputo un’idea un po’ campata in aria“. Questo perché, spiega, “è vero che la richiesta è valida dal momento in cui si entra nel territorio di uno Stato estero, ma per renderla effettiva è necessario che venga raccolta da uffici o personale preposto, come Questure, Prefetture o almeno personale di polizia o di organizzazioni internazionali delegate. Ma non credo, viste le posizioni espresse a Bruxelles, che la Germania o altri Paesi abbiano intenzione di fare concessioni di questo tipo. Sarebbe certamente una svolta”.
Come spiega l’avvocato dell’associazione che ha assistito numerosi casi di richiedenti asilo in Italia, esistono diversi cavilli legali per cui è complicato rendere questa pratica strutturale: “Sarebbero necessarie modifiche alle normative interne dei singoli Paesi – continua – Ma come detto non sembra proprio che ci sia la volontà politica delle cancellerie di aumentare il proprio contributo per l’accoglienza. Se bastasse mettere piede su territorio straniero per formalizzare una richiesta di protezione internazionale, non sarebbe necessario intraprendere un viaggio pericoloso e costoso come quello verso la Libia o la Tunisia. Basterebbe recarsi in un consolato o ambasciata straniera e fare richiesta. Ma non è una procedura contemplata, se non in casi eccezionali”.