Gentile ministro Valditara,
come oramai di rito e come già tentato con diversi dei suoi predecessori, vengo a rivolgerle un appello che, se già a più tornate caduto nel vuoto, spero questa volta possa essere accolto e fatto proprio dal suo dicastero: estenda l’insegnamento della grande cultura musicale ai nostri licei, quegli istituti cioè nei quali è già da tempo presente l’insegnamento della sorella storia dell’arte. Non è infatti neanche immaginabile un’offerta scolastica che, tenendo in grande considerazione le culture letteraria e artistica, disconosca al contempo l’altrettanto imprescindibile cultura musicale, perché, come già scriveva l’illustre Roman Vlad nel lontano 1989, il popolo italiano è decisamente tra i più musicali, ma musicalmente è però tra i meno alfabetizzati.
Vogliamo intervenire definitivamente e far sì che l’immenso patrimonio musicale italiano e occidentale non vada irrimediabilmente perduto? Vogliamo formare un pubblico adatto a frequentare auditorium, teatri ed enti lirico-sinfonici? Vogliamo far sì che quei luoghi non siano esclusivo retaggio delle fasce più adulte, se non del tutto anziane, della nostra società? Oltre alle ricadute culturali e identitarie (e qui sì che si può parlare di vera e propria identità), quelle economiche, quasi inutile ripeterlo, sono sotto gli occhi anche dei più distratti osservatori: sarebbero le medesime già ampiamente collaudate nel settore delle arti visive, il cui insegnamento scolastico ha dato modo al susseguirsi di un notevole numero di generazioni di frequentare gallerie, musei e mostre di vario tipo rappresentando le stesse il motore economico di un intero settore produttivo.
Sa bene quali e quante istituzioni musicali versano da decenni in un tragico deficit continuamente rimpinguato dalle casse statali: laddove il pubblico scarseggia, laddove le fasce più dinamiche di una società, i giovani, vengono del tutto a mancare mancherà di conseguenza l’adeguato sostegno economico. Sono concetti, quelli finora espressi, che da anni il prof. Elvidio Surian, uno dei più illustri storici della musica italiani, autore tra gli altri del recente Profilo di storia della musica (ed. Rugginenti, 2022), in tandem col sottoscritto sta ripetendo in più sedi e occasioni: non sono mancate petizioni, lettere aperte, momenti collegiali e, infine, anche una proposta di legge, la n. 1553 presentata a Montecitorio nel gennaio 2019 e recante il titolo “Delega al Governo per l’introduzione dell’insegnamento della storia della musica nella scuola secondaria di secondo grado”: basterebbe riesumarla, farla propria e dare una svolta definitiva alla cultura musicale di un Paese, o nazione che dir si voglia, terribilmente indietro rispetto ai cugini d’oltralpe, agli amici d’oltreoceano e più in generale a tutti i più avanzati paesi del consesso occidentale.
Una svolta, come dicevamo, non solo culturale, ma, stanti le summenzionate ricadute e dunque, già solo nel medio termine, lo sgravio di detti capitoli sulle casse statali, virtuosamente economica: tutto da guadagnare, nulla da perdere, un investimento importante e a costo oggettivamente irrisorio. Non interessa un simile disegno al suo collega ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano? Non interessa al ministero dell’Economia e delle Finanze, attualmente guidato da Giancarlo Giorgetti?
È da un secolo a questa parte, caro ministro, che in Italia appelli di questo genere vengono puntualmente lanciati sulle pagine di diverse delle più importanti testate generaliste e di settore: ne scriveva Carlo Brancoli sul periodico Biblioteca dei Musicisti nel gennaio del 1935: “(…) bisogna preoccuparsi, e molto, di riavvicinare i giovani con un’agile ma seria istruzione musicale, alla più divina delle Arti. Altrimenti – e mi si passino questi termini economici, perché anche economico (e quindi politico) è il problema – finiremo con l’avere una promettente produzione, una sapiente distribuzione, ma una quasi totale mancanza di consumatori giovani di quel bene, e chiamiamolo pure Bene, che è la Musica”.
Replicava sulle medesime pagine Giuseppe Molinaro nell’estate del 1935: “(…) è coerente che lo studente che compie i suoi studi in un Liceo sia iniziato per esempio ai misteri del polline e alle riproduzioni delle gimnosperme e conosca le millanta varietà degli insetti, quando gli è permesso di ignorare Verdi, Rossini e Beethoven? La sproporzione è evidente e madornale”; ne scriveva Alberto Mantelli sulle pagine de L’Approdo musicale nel 1964: “In Italia la musica, in quanto fenomeno culturale, è tuttora considerata come un accessorio trascurabile, una disciplina meritevole appena di una tolleranza diciamo pure men che benevola (…) Nei licei: nulla”; lo faceva recentemente notare il violinista Uto Ughi: “La musica continua a essere la grande assente, la grande tradita, da ogni piano educativo nazionale”.
Vogliamo finalmente voltare pagina? Vogliamo riappropriarci di un’identità scippata, svilita e oltraggiata? A lei l’onere, ma anche l’onore.