Investire nell’Anticorruzione può valere come una manovra economica. Lo sostiene Giuseppe Busia, presidente dell’Anac che, intervistato dall’Ansa nei dieci anni della legge Severino, spiega come “in questo momento di risorse scarse e difficoltà economiche, investire in prevenzione della corruzione significa qualificare la spesa pubblica, evitare sprechi e quindi avere risorse per offrire servizi migliori a tutti i cittadini, oggi in crescente difficoltà. È una sorta di manovra economica, nascosta, ma estremamente efficace e con ritorni importanti per le finanze pubbliche”.
La corruzione costa 60 miliardi – Era il 6 novembre del 2012 quando veniva promulgata la legge anticorruzione approvata pochi giorni prima dal Parlamento e voluta dal governo di Mario Monti: prendeva il nome da Paola Severino, penalista di fama e guardasigilli di quell’esecutivo. All’epoca il fenomeno aveva raggiunto i massimi livelli d’allerta: l’Italia figurava al terzo posto nelle classifiche sulla percezione della corruzione (dietro solo a Messico e Grecia), un fenomeno con un grande impatto economico, stimato dall’Ocse in 60 miliardi l’anno di costi per lo Stato, pari quasi a quattro punti di Pil. Negli anni successivi la legge Severino ha prodotto i suoi effetti: non solo nella lotta ai reati contro la pubblica amministrazione ma anche nei destini dei politici condannati. I casi sono molteplici, un esempio per tutti è quello di Silvio Berlusconi espulso dal Senato nel 2013, dopo la condanna per frode fiscale, proprio grazie alla legge Severino. Non è un caso, dunque, che ciclicamente alcune forze politiche propongano di alleggerire o abrogare quella norma: l’ultima è stata la Lega di Matteo Salvini, che tra i referendum sulla giustizia aveva incluso anche un quesito per eliminare l’incandidabilità per i politici condannati.
Passi avanti ma restano criticità sulle lobby – Tra gli effetti delle legge Severino anche la nascita dell’autorità Anticorruzione, a lungo guidata dal magistrato Raffaele Cantone e dal 2020 presieduta da Giuseppe Busia. “Negli ultimi anni l’Italia ha fatto importanti passi avanti. Lo dico con orgoglio, ma anche con responsabilità, perché questo ci impegna a proseguire il cammino. Solo in quest’ultimo anno il nostro Paese ha scalato dieci posizioni nella classifica di Transparency International. Ma nonostante il balzo dell’ultimo anno, abbiamo ancora molta strada da percorrere. La legge 190 è stata voluta per prevenire e reprimere la corruzione e l’illegalità nella Pubblica amministrazione, oltre che per promuovere la trasparenza. Direi che oggi, ancor più di dieci anni fa, l’obiettivo è prioritario, con gli ingenti fondi del Pnrr e l’attenzione dell’Ue su di noi per una corretta gestione di tali finanziamenti”, dice il presidente dell’Anac in un’intervista all’agenzia di stampa Ansa. Busia si riferisce alla classifica diffusa nel gennaio scorso dall’organizzazione Transparency International, in cui l’Italia ha guadagnato 3 punti rispetto al 2020 (da 53 a 56/100) e 10 posizioni (da 52 a 42), a pari punti con la Polonia e Saint Lucia, stabili rispetto alla classifica dello scorso anno. Secondo il dossier di Transparency, però, restano delle criticità sui temi del whistleblowing e della regolamentazione del lobbying dal momento che l’Italia non è ancora in linea con le direttive europee.
“Una norma che non si può abrogare senza uscire dall’Ue” – Altro che eliminazione delle legge Severino, norma che andrebbe invece potenziata. “La legge 190 – dice Busia – non può essere abrogata perché l’Italia l’ha approvata per adeguarsi ad alcuni obblighi internazionali. La stessa presidente von der Leyen e la Ue hanno ribadito anche di recente che una efficace normativa anticorruzione è il prerequisito per rimanere a pieno titolo nella Ue e ricevere i fondi”. E il referendum promosso dalla Lega e dai radicali? “Non riguardava la Legge 190 – risponde il presidente dell’Anac – ma l’abrogazione di uno dei provvedimenti attuativi sull’impossibilità di candidarsi o essere eletto, e sulla decadenza dalla carica per chi sia stato condannato. La disposizione particolarmente criticata era quella che prevede la sospensione dalla carica, negli enti locali, anche in caso di condanna di primo grado. Al riguardo, il decreto legislativo non distingue fra diverse tipologie di reati e -si è detto – tale sospensione può essere giustificata per i reati più gravi, come quelli di mafia, ma non per tutti gli altri. Si trattava dunque di possibili interventi puntuali. Come sempre, se si deve intervenire, non va fatto con la sciabola ma col fioretto”.
Il rafforzamento dell’Anac – Ma come cambierà l’Autorità col nuovo Codice degli Appalti? La bozza, approvata dal Consiglio di Stato è ora al vaglio del governo. “I criteri direttivi introdotti dal Parlamento nella legge delega sugli appalti – risponde Busia – prevedono un rafforzamento delle funzioni di vigilanza dell’Autorità e di supporto alle stazioni appaltanti. In particolare, con la vigilanza collaborativa, che è uno dei più efficaci strumenti di prevenzione, è possibile intervenire con tempestività a garanzia della legalità nelle procedure di aggiudicazione. Le pubbliche amministrazioni che vi aderiscono sottopongono in via preventiva gli atti di gara all’Autorità, che in tempi brevissimi – dai 5 agli 8 giorni – fornisce osservazioni e consigli”.