E ora, dopo lo sdoganamento di medici e infermieri no-vax, attendiamo l’avvio della commissione d’inchiesta sul Covid. Con quali obiettivi? Viste le premesse c’è da aspettarsi che il tentativo della nuova maggioranza sarà quello di usare la Commissione per strizzare nuovamente l’occhio al variegato popolo destrorso o astensionista che da due anni e mezzo sta usando l’ex-ministro Roberto Speranza come punching ball per le frustrazioni indotte dalla pandemia e dalle restrizioni che la stessa ha generato.

Se davvero la Commissione d’inchiesta dovesse trasformarsi in una sorta di redde rationem nei confronti di coloro che hanno avuto l’onere di gestire la più grave crisi sanitaria e sociale che il nostro Paese abbia dovuto sopportare dal dopoguerra ad oggi, saremmo di fronte all’ennesima dimostrazione di irresponsabilità ed incoscienza da parte dei nuovi governanti i quali, anziché guidare il Paese, sembrano preferire il trascinamento ad oltranza della campagna elettorale.

La verità è che una Commissione d’inchiesta sul Covid è per molti aspetti del tutto prematura. Per altre ragioni è assolutamente inutile.

E’ prematura perché un’analisi seria sul Covid necessita di dati ed elementi certi e definitivi. Servono evidenze scientifiche oggettive che, per forza di cose, potranno essere acquisite solo ad epidemia conclusa e solo dopo che gli esperti e gli organismi scientifici avranno avuto la possibilità di incrociare e sistematizzare l’enorme mole di informazioni, esperienze e casistiche che il virus ha prodotto sull’intero pianeta. Chiunque volesse anticipare queste conclusioni peccherebbe quantomeno di presunzione e arroganza.

Al tempo stesso, la proposta di istituire una Commissione rischia di rinviare inutilmente la presa d’atto di alcuni punti fermi che, quantomeno a livello organizzativo e gestionale, possono da subito essere evidenziati e condivisi.

Il primo è una seria riflessione sul federalismo sanitario. Se c’è una cosa che l’emergenza pandemica ha insegnato è proprio questa: la divisione del nostro sistema sanitario in venti repubbliche regionali genera confusione, priva il sistema della possibilità di coordinare le strategie d’azione e impedisce, soprattutto nelle situazioni straordinarie ed emergenziali, di garantire linee d’azione efficaci e coerenti. La sanità differenziata regionale non andrebbe già ripensata e rimodulata alla luce di queste evidenze?

Il secondo è l’assoluta necessità di rilanciare i servizi di medicina preventiva. Penso a Regione Lombardia dove, a partire dal 2015, i Dipartimenti di igiene e prevenzione sanitaria sono stati smembrati separando le attività di prevenzione alla persona da quelle alla popolazione, indebolendo le capacità sia di prevenire, sia di coordinare le azioni di contrasto al virus. Meglio sarebbe stato se si fosse operato per integrare gli strumenti e i soggetti attuatori, per incrementare le risorse per la profilassi delle malattie infettive e parassitarie e per potenziare la tutela della collettività da rischi connessi agli effetti degli inquinanti ambientali.

Il terzo punto riguarda l’esigenza di potenziare la medicina territoriale e domiciliare. L’assoluta debolezza del nostro attuale sistema ha impedito che le cure anti-Covid potessero essere gestite con efficacia a domicilio e hanno incrementato a dismisura le pressioni sul sistema ospedaliero. Il Pnrr (missione 6) ha fissato l’obiettivo di portare al 10% l’utenza servita direttamente a domicilio (oggi siamo al 2,7%), ma senza specificare gli standard da utilizzare (quante ore? quali servizi? quale integrazione fra assistenza sociale e sanitaria?) e concentrando buona parte dei 4 miliardi stanziati alla realizzazione di edifici e di strutture. Il rischio vero è che vengano costruite cattedrali nel deserto – le ormai famose Case di Comunità – sguarnite del personale che le possa far funzionare e quindi impossibilitate a garantire i risultati sperati

E qui possiamo collegarci al quarto problema: quello relativo alla gravissima carenza di personale sanitario che negli ultimi 10 anni ha perso 40 mila operatori, compresi i medici di famiglia. Sono dati preoccupanti determinati da mille cause, prime fra tutte le politiche formative del numero chiuso degli anni passati, i tetti alle politiche assunzionali oltre ai grandi rischi professionali correlati alla funzione e, soprattutto per gli infermieri, l’assenza di politiche retributive adeguate. Non serve sprecare il tempo in commissioni di studio per capire che la carenza di risorse umane, soprattutto nei servizi residenziali socio-sanitari, è stata uno dei principali fattori che hanno negativamente condizionato la tenuta del sistema durante la pandemia. L’investimento quantitativo e qualitativo sul personale sanitario deve dunque costituire una priorità assoluta e ineludibile per il prossimo immediato futuro.

Da ultimo soffermiamoci sulla già citata rete dei servizi socio-sanitari, residenziali e semi-residenziali. Quest’area di intervento, soprattutto nella fase calda dell’epidemia, è stata completamente lasciata a sé stessa in balia dell’emergenza pandemica.

Prendiamo il caso delle Rsa: sono state da subito additate quali responsabili della diffusione del virus, senza valutare che queste strutture non sono reparti di malattie infettive e che, essendo strutturate per la convivenza comunitaria di centinaia di persone fragili, non potevano che trasformarsi in luoghi di propagazione esponenziale del virus. Andavano dunque aiutate non abbandonate a sé stesse. Ma per aiutarle era indispensabile che il sistema degli interventi fosse strutturato su logiche totalmente alternative a quelle ospedalo-centriche.

In conclusione: è decisamente auspicabile che il nuovo governo, senza perdere tempo e denaro pubblico in una Commissione senza senso ed utilità, si rimbocchi da subito le maniche sulle priorità ed urgenze della sanità che sono già note e non abbisognano di analisi e studi parlamentari.

Temo però che gli obiettivi di chi ha proposto la Commissione siano altri e meramente politici, ovvero strettamente funzionali a gettare discredito sul nostro ex premier. Non sto naturalmente parlando del premier “intoccabile”, quello che ha dovuto gestire la fase meno emergenziale della pandemia e che, nonostante questo, è riuscito a collezionare – lui sì – numerosi errori e scelte discutibili: primo fra tutti quello del green pass obbligatorio con la demenziale motivazione che “la vaccinazione dà la garanzia di non trovarsi tra persone contagiose”.

Si sa però che in questo Paese i pensieri, le parole e le opere di Supermario sono Verità Assolute e quindi è da escludere che la costituenda Commissione si occuperà dei suoi errori. E questo – semmai ce ne fosse bisogno – è un ulteriore motivo che fa capire quanto sia consigliabile che il nuovo Parlamento eviti di disperdere energie, tempo e soldi in una iniziativa che sin d’ora appare del tutto inutile, pretestuosa e funzionale a esigenze che con il miglioramento del nostro sistema di prevenzione e cura della Salute c’entrano come i cavoli a merenda.

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