Cinema

Il mio vicino Adolf, macchina perfetta di suspense e umorismo sui generis

Si tratta di un piccolo, grazioso film che ha fatto imbufalire tanta azzimata critica occidentale dove il tragico si mescola continuamente con il comico

di Davide Turrini

C’è un piccolo, grazioso film che ha fatto imbufalire tanta azzimata critica occidentale. S’intitola Il mio vicino Adolf e secondo gli autorevolissimi Variety e Guardian il film diretto dal regista di origine russo-israeliana Leon Prudovsky “si abbassa a gag da Mamma ho perso l’aereo” e “vive di stupidità eccentrica”. Ecco, facciamo allora come chiede il professor Keating ne L’attimo fuggente davanti all’introduzione con grafico Prichard: strappiamo, anzi spegniamo, le due pagine web delle recensioni di mister Bradshaw e mister Debruge. Hanno visto, come si usa dire, un altro film. Poi per carità non siamo di fronte a Schindler’s list, ma nemmeno davanti a quell’ipocrita paciugo de La vita è bella.

Dopo una rapida introduzione in un generico Est Europa del 1934 nel giardino della casa di una famiglia ebraica dove la figliola cerca di far funzionare la macchina fotografica per una foto di tutti i familiari, saltiamo in un paese del Sud America nel 1960. In una casupola di collina, isolata, malmessa ma funzionale, vive l’anziano signor Polsky (David Hayman), un sopravvissuto dell’Olocausto. L’uomo ha problemi di prostata, è un fenomeno degli scacchi e nel terreno dissestato del suo cortiletto coltiva amorevolmente una rigogliosa pianta di rosa color carbone. Il suo malinconico e irsuto ritiro viene però disturbato dall’arrivo di un vicino di casa. Già perché paradosso vuole che attaccata alla casa di Polsky ci sia un’altra casupoletta e nient’altro per chilometri. Annunciato dalla austera signora tedesca Frau Kaltenbrunner e da un gruppo di nerboruti ragazzoni che sembrano di pura “razza ariana”, ecco che assieme all’amato e inseparabile pastore tedesco Wolfie giunge mister Herzog (un Udo Kier con barbone bianco, lungo e folto, molto hypster). Ovviamente Polsky è imbufalito come una iena, anche perché il cane lupo dopo aver bucato il recinto gli defeca sulle amate rose. Inizia così il film di Prudovsky, con qualche scaramuccia, anche vagamente oscena, tra vicini che non si sopportano.

Fino a quando Frau Kaltenbrunner mostra carte del catasto dov’è scritto che Herzog possiede 24 metri quadri di terreno in più, guarda caso proprio un ampio quadrato di terra nel giardino di Polsky con la pianta di rose. Apriti cielo. A questo punto tra i due è guerra aperta. Ma aspettate un momento. Polsky si accorge che quell’Herzog è qualcuno di noto, di importante, di famosissimo, anzi è proprio lui: il Fuhrer. Inevitabile che per il sopravvissuto alla morte nei campi di concentramento l’ossessione di smascherare quell’anonimo e assassino vicino di casa diventi l’unico obiettivo di ogni ora del giorno: consulterà biografie, foto e informazioni di ogni genere su Hitler, oltre che utilizzare uno sgangherato treppiedi con teleobiettivo nascosto dietro una finestra per catalogare prove certe sulla sua straordinaria intuizione da salvezza del mondo. Che poi tra i due vecchi nasca una onesta amicizia dietro alcune sfide a scacchi e che il desiderio di vendetta si impasti alla loro fragilità psicofisica (qualcosa che ricorda I nostri anni di Daniele Gaglianone) non è proprio il turning point che ci si poteva aspettare.

Il mio vicino Adolf è una macchina perfetta di suspense e umorismo sui generis dove il tragico si mescola continuamente con il comico (Prudovsky parla di “parabola chassidica”) facendo spesso baluginare dimensioni dell’assurdo e del grottesco. Insomma, oltre ad una sacrosanta sospensione dell’incredulità (è lui o non è lui, diceva un celebre comico tv) c’è proprio un impianto stilistico peculiare caratterizzato da uno sguardo che si stringe spesso in soggettiva sul set interno/esterno delle due casupole confinanti senza concedersi trasferte spaziali (giusto un paio) o buchi temporali (a parte l’introduzione), battendo al ritmo inesausto e apparentemente convenzionale di primi piani mai identici in campo e controcampo. Il mio vicino Adolf è tutto in questa preziosa traiettoria espressiva di senso dove odio e amicizia si danno di gomito ridacchiando e, sia chiaro, senza mancare mai di rispetto alla storia con la famosa s maiuscola. Fotografia monocromatica azzurro-grigio pastello da cinema di genere dell’ottimo Radek Ladczuk. Il nostro consiglio è vederlo. Così capiamo se ha ragione ilFattoquotidiano.it o il Guardian.

Il mio vicino Adolf, macchina perfetta di suspense e umorismo sui generis
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