Pare che i primi provvedimenti economici del governo Meloni ricalchino quello che ha fatto il governo Draghi. La maggior parte delle risorse disponibili sarà utilizzata contro il caro energia e quindi per alleggerire le bollette. D’altra parte queste risorse sono state create dall’inflazione stessa attraverso il fiscal drag, il meccanismo automatico che aumenta le imposte indirette dal momento che queste ultime sono calcolate sul prezzo dei beni, che è aumentato del 10%. Un meccanismo infernale ben conosciuto negli anni Ottanta. Il governo doverosamente restituisce una piccola parte di questa tassa sull’inflazione. Ma qui è un po’ come il cane che si morde la coda e rimaniamo in attesa di interventi risolutivi come un prezzo europeo per il gas.

Chi si aspettava qualcosa di nuovo in campo economico dal discorso programmatico del/della premier è rimasto per ora deluso. Nessuna novità di rilievo è emersa, ma soprattutto nessuna indicazione di una qualche azione specifica immediata, di quelle che si prendono nei famosi primi 100 giorni di governo e che danno la direzione di marcia. D’altronde, l’economia non è il suo campo preferito. L’economia reale, con la sua complessità, fa a pugni con l’approccio iper ideologico della destra come la recente esperienza britannica ha dimostrato.

È stato un discorso molto democristiano, nel senso che il/la premier ha nascosto accuratamente quello che vuole o può fare, celandosi dietro proposte arcinote e del tutto inattuabili. È cominciata per lei la fase della grande moderazione. Diciamo che sono stati abbandonati i toni battaglieri della decennale polemica politica creando una sorta di nebbia che lascia spazio, furbescamente, ad ogni futura azione. Vediamo alcuni punti caldi.

Le tasse. Niente grande riforma fiscale alla Draghi per la creazione di un fisco semplice ed equo andando a rivedere, per esempio, il catasto urbano, una delle più significative falle del nostro sistema tributario. Alla Lega di Matteo Salvini è stata regalata – ma solo a parole per ora perché i conti sono salatissimi – la flat tax per i professionisti ad alto reddito. Vedremo poi con quale modalità. In compenso, per tutti gli altri, è stato preannunciato una modestissima riduzione di tasse sul reddito incrementale, sul modello degli sgravi per gli straordinari dei lavoratori dipendenti. Quindi ulteriori complicazioni fiscali per tutti, alla faccia della semplificazione sempre promessa.

Il citato quoziente familiare ora ha poco senso con la riforma dell’assegno familiare di Draghi, che di fatto le ha scippato le politiche familiari. Se si voleva fare un passo in avanti bastava dichiarare di voler aumentare l’entità di quest’ultimo. Comunque un’ulteriore complicazione nella compilazione della dichiarazione dei redditi, se mai si arriverà a questo.

In arrivo condoni e una finta lotta all’evasione fiscale, perché elevando il tetto al contante si incentiva l’economia sommersa. Poiché tutto rimane nel vago regno delle promesse elettorali, risulta impossibile fare una previsione riguardo al costo per le casse dello Stato della politica fiscale selettivamente espansiva del/della neo premier.

Il reddito di cittadinanza. Il governo punta ad una modifica, non all’abolizione come dichiarato in campagna elettorale. Un passo indietro? Certamente no, sempre nella retorica meloniana. La severa revisione servirà per distinguere coloro che sono veramente poveri per sventura o accidente, i bisognosi, dai fannulloni da divano che non hanno voglia di lavorare. Proposito del tutto condividibile, ma quasi impossibile da praticare, oltre che del tutto ipocrita. Se ci fosse lavoro, soprattutto in alcune Regioni, è improbabile che le persone chiederebbero il Rdc.

Comunque la soluzione al fallimento del reddito di cittadinanza sono per il/la neo premier i corsi di formazione e di accompagnamento al lavoro – che non c’è; e i navigator sono stati tutti licenziati. Chi finanzierà queste attività? Naturalmente l’Europa attraverso il Fondo sociale Europeo. Ora che si è al timone della nave, l’Europa non è più il grande nemico.

Sul capitolo pensioni la tendenza cerchiobottista del/la premier raggiunge il suo vertice. Infatti il governo “intende facilitare la flessibilità in uscita con meccanismi compatibili con la tenuta dei conti previdenziali”. Questo passo, che qualcuno le avrà scritto, appartiene al vocabolario della vecchia politica perché dice tutto e nulla.

In realtà, che cosa significano queste parole? Vuol dire che possiamo, per fortuna, buttare alle ortiche le maldestre e sciagurate proposte della Lega di Salvini di abbassare l’età pensionabile creando una voragine nelle casse dell’Inps? Non è chiaro. Vedremo se veramente, come ha dichiarato, una delle priorità del governo sarà la copertura pensionistica per le nuove generazioni. Intanto, per prima cosa, bisognerà trovare i soldi per l’adeguamento automatico delle pensioni per il 2023. O Meloni pensa di bloccarlo, come è stato fatto a suo tempo con gli stipendi dei pubblici dipendenti? Non si sa mai.

Insomma per ora il/la premier sembra essere più interessata ad impedire il disastroso effetto Liz Truss che a mostrare le sue carte di politica economica. Le difficoltà della finanza pubblica le consentono anche di rintuzzare le proposte irrazionali della Lega di Salvini, incassando un bel dividendo di consenso. Non sorprende allora che la Meloni democristiana stia volando nei sondaggi, mentre la Lega precipita verso il suo minimo storico. Solo nel 2018 Fratelli d’Italia era al 4% e la Lega attorno al 20%. Ora le percentuali si sono ribaltate.

Comunque per ora la Melonieconomics non c’è e forse non ci potrà essere, perché la destra italiana in economia non è una, ma trina: statal-nazionalita (FdI), anarco-populista (Lega) o pesudo-liberista (Fi) e ognuna delle tre parti contendenti vuole stare sulla plancia di comando.

Vedremo quali saranno gli esiti di questa coabitazione forzata dettata fondamentalmente da una pessima legge elettorale. Restituire qualche briciola derivante dal fiscal drag è molto poco e appartiene ad una agenda Draghi di seconda mano.

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