Vana è la ricerca da parte di tanti commentatori di un ‘senso di colpa’ o di un ‘ravvedimento in extremis’ che possa giustificare il suicido del 64enne di Forlimpopoli che,
spacciandosi per una donna (‘Irene’), ha ingannato Daniele sulla sua reale identità, anch’egli morto suicida dopo aver scoperto la verità. Dalla posizione di oggetto amato costui, dopo averne carpito la fiducia, ha dato via ad una relazione virtuale basata su un identità non vera, portandolo ad uno stato di disperazione anticamera del gesto fatale.
‘Irene’ non voleva certo la morte del ragazzo nel quale questa ‘relazione’ ha tuttavia slatentizzato fragilità ignote anche ai suoi genitori. In casi come questi, solitamente privi di senso di colpa, non dobbiamo usare termini quale ‘rimorso’ o ‘ravvedimento’, contemplando nella loro natura il puro piacere di dissimulare la realtà per accedere al cuore di un altro essere umano. Non è un caso che la ‘truffa’ non fosse finalizzata al lucro. Questo è testimoniato dal fatto che, a dire dell’avvocato di famiglia, il 64enne aveva creato diverse personalità virtuali con le quali continuava nella ricerca di contatti con altri ragazzi anche dopo aver saputo della morte di Daniele. Nessun senso di colpa traspare, un semplice ’se aveva problemi non è colpa mia’ gridato davanti alle telecamere.
L’irruzione dell’inviato de ’Le iene’ costituisce quella finestra aperta che sovente scardina e fa tremare queste costruzioni, i cui autori dapprima cercano di negare, salvo poi doversi arrendere al dato oggettivo. Io l’ho imparato a mie spese cosa significhi subire il tentativo di manipolazione culminato con la fuga del responsabile di azioni deleterie.
La morte di ‘Irene’, come lui stesso sembra aver detto, è dunque addebitabile ad un eccesso di pressione, al sentirsi braccato, all’essere stato denudato e pubblicamente riconosciuto. Alla pesantezza di un gioco forse sfuggito di mano e deflagrato in paese. Ma tutto ciò non contempla il senso di colpa, né l’aver realizzato di essere stato concausa di una disgrazia.
Domenica mattina ho partecipato alla trasmissione televisiva ‘Uno mattina’ ove ho clinicamente commentato il tragico caso della signora Roberta Repetto, morta dopo l’asportazione di un neo su di un tavolo di cucina effettuata all’interno di una comunità nella quale operavano un ‘santone’ e un medico poi colpiti dalla legge. Ho spiegato come il lucro non sia sempre collegato al desiderio di dominio, il quale vive di vita propria, si soddisfa e nutre di un senso di onnipotenza da esercitare sul prossimo. Un desiderio di sopraffazione e manipolazione che attraversa trasversalmente la società rintracciabile nelle pieghe della città, nei luoghi di lavoro, nei consessi politici, militari, familiari e religiosi.
E’ nel mondo ‘normale’ che possiamo trovare figure che, nascondendosi dietro obiettivi sociali socialmente accettati, celano il loro desiderio di potere sull’altro. Un desiderio brutale, per quel che le indagini mostrano, nei comportamenti di quei cattivi maestri che hanno messo in atto atteggiamenti anoressizzanti sulle atlete che hanno poi trovato la forza di denunciare il tutto. Un desiderio soffuso, ma non meno incisivo, nelle gesta del capufficio e o del caporeparto che pretendono di conoscere i messaggi dei propri sottoposti o di dettar loro le linee guida su come abbigliarsi. Un desiderio atroce nelle gesta di alcuni maestri sorpresi a tiranneggiare e controllare con insulti e violenza gli alunni, o nei filmati di quegli inservienti che letteralmente godono e si divertono a torturare e sopraffare anziani indifesi in alcune case di cura dove la luce filtra poco.
Per contro, la fine tragica di Daniele mostra come l’amore si nutra di parole, di speranze e di cura. E possa talvolta fare a meno del corpo. Il povero ragazzo caduto nella trappola, stando alle decine di messaggi che i media hanno mostrato, era davvero innamorato. Viveva quello stato euforico e beante di chi, al di là della presenza, era in cerca di quella premura e quell’affetto che ‘Irene’ dispensava ‘prima che la maschera cadesse’.
Non ci è dato sapere quali parti fragili di lui siano state messe in gioco, quali le sue speranze, quali i desideri profondi che alimentava. Sappiamo che tutto è crollato di colpo quando ha scoperto la vera identità di chi, sino a quel momento, si era finto una donna che lo amava e lo faceva sentire desiderato. L’irruzione della realtà ha avuto su Daniele il medesimo effetto insopportabile provato dal 64enne, ma dal lato della vittima. Un amore che si scopre fasullo comporta un senso di caduta vorticoso, un abbattimento e una spinta verso il baratro che, come insegna Freud, deve essere temperato e placato in tempi brevi affinché l’ombra dell’oggetto non amato piombi sul soggetto trascinandolo negli inferi, in questo caso dentro alle rovine di una tragica finzione.