Tra le persone che hanno perso potere d’acquisto e faticano ad arrivare a fine mese a causa del carovita e del carobollette non ci sono gli amministratori delegati delle società quotate in Borsa. La conferma è arrivata dal secondo rapporto realizzato dal Centro ricerche finanziarie sulla corporate governance dell’Università Cattolica (Fin-Gov). Secondo il report dell’ateneo milanese, i top manager nel 2021 hanno potuto contare su un aumento del 17% dei loro compensi. Il loro stipendio annuale medio ha così raggiunto gli 1,1 milioni di euro lordi. La crescita dei compensi risente soprattutto della decisa ripresa dei bonus, risaliti a 420mila euro, dopo essere crollati nel 2020 da 374 a 239mila euro. Gli stipendi hanno risentito del miglioramento delle condizioni del mercato, avvenuto in contemporanea all’uscita dalla fase più critica della pandemia e prima dello scoppio della guerra tra Russia e Ucraina. Nel corso del 2021 l’indice di piazza Affari ha guadagnato il 23%. Tendenza che potrebbe non confermarsi nel 2022, anno che si è assistito a un rallentamento da parte dei mercati.
L’indagine fotografa anche la persistenza di un divario retributivo tra uomini e donne. Un terzo delle società fornisce informazioni anche sul gender pay gap. Le donne percepiscono in media l’89% della remunerazione dei colleghi maschi, a livello generale, e l’86% tra i dirigenti. Il pay gap è “chiaramente riconducibile a differenze di ruolo nell’organigramma aziendale. La strada verso un’effettiva parità è, quindi, ancora lunga”, è spiegato nel rapporto. I dati sull’aumento delle buste paga dei manager di società quotate sono stati diffusi nello stesso giorno in cui l’Inps ha ribadito il quadro piuttosto sconfortante delle retribuzioni italiane. L’Istituto sottolinea come un terzo dei lavoratori italiani guadagni meno di mille euro lordi al mese. Per eguagliare la cifra guadagnata in un anno da un amministratore delegato in un solo anno servono quindi circa 91 anni e mezzo di lavoro.