Niente di illegale, dato che la normativa europea in materia di embargo prevede, per questo specifico caso, che le restrizioni non si applichino ai contratti firmati prima del 1 agosto 2014. Quelli esportati dal governo Renzi risalgono addirittura a intese siglate nel 2011. "Ma non si tratta solo di una valutazione burocratico-amministrativa, ma politica - spiega a Ilfattoquotidiano.it l'analista di Opal Brescia Giorgio Beretta - Il governo Renzi ha deciso di avvalersi della clausola di eccezione invece di mettere in atto un completo embargo di materiali militari verso la Russia”
Quando il 27 febbraio 2014 i primi “omini verdi” (militari senza insegne) russi misero piede in Crimea con l’intenzione di annetterla a Mosca, Matteo Renzi era presidente del Consiglio da appena 5 giorni, mentre Carlo Calenda, col cambio di governo, aveva mantenuto il suo posto da viceministro dello Sviluppo Economico con delega al commercio estero. Il 29 luglio dello stesso anno, il Consiglio europeo, dopo aver applicato sanzioni e restrizioni nei confronti di alti funzionari della Federazione, optò per un embargo sulle armi al Paese di Vladimir Putin. Ma secondo la relazione del ministero degli Esteri relativa all’export di armamenti relativa al 2015, lo stesso governo esportò ben 94 mezzi blindati proprio alla Russia. Oggi, a più di 7 anni di distanza, Renzi e Calenda sono scesi in piazza, da organizzatori, a manifestare per una pace fatta di sostegno incondizionato, anche militare, al governo di Kiev, perché “non esiste pace senza libertà e non esiste libertà senza resistenza all’invasore”. Un invasore che, però, è entrato in territorio ucraino anche con le gomme dei Lince che proprio l’Italia gli aveva venduto.
Non solo! Indovinate chi nel 2016 e 2017 (Crimea già invasa, programma di riarmo di Putin avviato nel 2011) stringeva accordi economici con il regime russo “nonostante l’embargo internazionale” e con l’intenzione di fare un “salto di qualità”: il “difensore dell’ucraina” Calenda! pic.twitter.com/QVMdzSqjF3
— Francesco Vignarca (@kkvignarca) November 6, 2022
Informazioni ricostruite e documentate da Giorgio Beretta, analista di Opal Brescia, in un thread su Twitter nel quale pubblica le carte governative: “Indovinate chi era il PdC e il Min. Mise nel 2015, quando l’Italia esportava 94 blindati Lince alla #Russia nonostante l’embargo dell’Ue? Un aiuto? Pensate a chi ha organizzato la manifestazione #SlavaUkraini ieri a Milano”, ha twittato l’esperto che si occupa, tra le altre cose, di tracciamento di armamenti da e verso l’Italia. E proprio quei blindati, come dimostrato da diverse inchieste e video diffusi anche dai media italiani, sono stati utilizzati dai militari di Vladimir Putin nelle prime fasi del conflitto, quando il Cremlino organizzò un’invasione massiccia del Paese governato da Volodymyr Zelensky portando le sue truppe fino alla periferia della capitale Kiev nel tentativo di rovesciare l’esecutivo ucraino.
Niente di illegale, va precisato, dato che la normativa europea in materia di embargo prevede, per questo specifico caso, che le restrizioni non si applichino ai contratti firmati prima del 1 agosto 2014. Quelli esportati dal governo Renzi risalgono addirittura a intese siglate nel 2011. Ciò non toglie che il via libera dell’esecutivo poteva però essere evitato proprio appellandosi al nuovo contesto internazionale e alle decisioni prese in sede di Consiglio Ue: “Le Relazioni governative sulle esportazioni di materiali militari riportano che alla Iveco sono state rilasciate due autorizzazioni per l’esportazione alla Russia di veicoli blindati Lince – spiega Beretta a Ilfattoquotidiano.it – La prima nel 2011, durante il governo Berlusconi, relativa a 358 ‘autocarri modello M65E19WM protetto completo scomposto’ per un valore di 96,6 milioni di euro e la seconda nel 2015 per 94 ‘autocarri modello M65E19WM protetto completo di dotazione propria’ per un valore di 25 milioni di euro. L’autorità per le autorizzazioni all’esportazione di materiali di armamento (Uama) a richiesta di spiegazioni ha comunicato che questa seconda fornitura, facendo parte di un contratto firmato dall’azienda nel 2011, rientrava ‘tra le eccezioni previste dalla Decisione del Consiglio Ue’ emessa dopo l’invasione da parte della Federazione Russa in Crimea che prevede l’embargo di sistemi militari verso la Russia a partire dal 1 agosto 2014. Riguardo all’autorizzazione rilasciata nel 2015 è stata fatta una valutazione non solo di tipo burocratico-amministrativo, ma politica. Il governo Renzi ha cioè deciso di avvalersi della clausola di eccezione, prevista dalla decisione Ue, rispetto alla sostanza della decisione, cioè di mettere in atto un completo embargo di materiali militari verso la Russia”.
Ma se Renzi e Calenda si trovavano stabilmente al governo mentre l’Italia vendeva mezzi militari a Mosca nonostante l’embargo europeo, sul leader di Azione emerge un altro precedente. E lo mette in evidenza, sempre su Twitter, Francesco Vignarca, coordinatore delle Campagne di Rete Italiana Pace e Disarmo. Nel suo lancio social, l’analista ricorda che nel giugno 2016 e nel luglio 2017, quando era già stato promosso ministro dello Sviluppo Economico nei governi Renzi e Gentiloni, proprio Calenda stringeva accordi economici con la Russia: “Indovinate chi nel 2016 e 2017 (Crimea già invasa, programma di riarmo di Putin avviato nel 2011) stringeva accordi economici con il regime russo ‘nonostante l’embargo internazionale’ e con l’intenzione di fare un ‘salto di qualità’? Il ‘difensore dell’ucraina’ Calenda!”, si legge nel tweet. In effetti, negli articoli dell’epoca, proprio a Calenda vengono attribuiti virgolettati nei quali dice: “Stiamo lavorando con il governo centrale russo e con i diversi governatori su 340 proposte legate a progetti di investimento comune. Queste proposte che saranno esaminate entro l’anno, con un’operatività a partire dal 2017, possono essere una risorsa importante anche per le Pmi italiane”. Alcuni commentatori obiettano sostenendo che “i tempi sono cambiati”: ma allora la Russia era già di fatto un Paese invasore in Crimea e sostenitore delle formazioni separatiste nel Donbass.