A chi interessa l’istituzione della Commissione parlamentare antimafia?

C’è una precisazione da fare in premessa per i non addetti ai lavori: al contrario di come potrebbe sembrare, la Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni mafiosi non è una commissione parlamentare permanente, ma, essendo una Commissione di inchiesta, va istituita con legge ad ogni nuova legislatura e che ciò avvenga non è per nulla scontato.

Non è un bene abituarsi al fatto che esista: significa non cogliere il valore speciale di una Commissione di inchiesta, che ha cioè poteri in parte paragonabili a quelli della magistratura, e significa forse implicitamente accettare che le mafie in Italia siano una presenza costante, inestirpabile. E’ un bene invece domandarsi ad ogni giro di boa del Parlamento se sia necessario istituirla e di conseguenza come la si voglia fare.

Sul “se” non dovrebbero esserci dubbi. Circostanze storiche e questioni attuali militano senz’altro per una approvazione rapida della legge istitutiva, possibilmente entro il 2022, per essere operativi con l’inizio del 2023. Quali circostanze storiche? Saranno passati quarant’anni giusti da quel terribile 1983 iniziato con l’assassinio del giudice Ciaccio Montalto, proseguito con la strage via Pipitone nella quale venne ucciso il giudice Chinnici, terminato con l’omicidio del giudice Caccia. Una scia di sangue che unì sud e nord Italia: Trapani, Palermo e Torino. Tre episodi collegati non soltanto dalla mano mafiosa, non soltanto dal ruolo delle tre vittime, tutti magistrati di punta nelle attività di contrasto alle organizzazioni criminali, ma anche da un intreccio, ancora oggi non completamente chiarito, tra potere mafioso in senso stretto e poteri occulti antidemocratici, legati a pezzi di politica e a pezzi di apparati istituzionali.

Quali questioni attuali? Il delirio di violenza della mafia foggiana; il destino di molti degli istituti caratterizzanti l’armamentario di cui lo Stato dispone per prevenire e contrastare il fenomeno mafioso (l’ergastolo ostativo, il 41 bis, il sistema di esecuzione della pena, le intercettazioni telefoniche, i collaboratori di giustizia, i testimoni di giustizia, le misure di prevenzione patrimoniali, le interdittive prefettizie, lo scioglimento dei Comuni, le indagini finanziarie, la Dia e la Pnaa…); la sfida rappresentata dalle donne che, spesso insieme ai loro figli, intendono rompere con le famiglie mafiose di provenienza, affidandosi allo Stato (in Parlamento oggi siede una delle persone che più profondamente conosce la materia, essendo stata da vicepresidente di Libera una delle “apri-pista”: la senatrice Enza Rando); i rischi a cui sono sottoposti in tutta Europa quei “disturbatori” per eccellenza che sono i giornalisti-giornalisti (vale la pena ricordare che negli ultimi anni è proprio questa categoria ad aver pagato il prezzo più alto in termini di vite spezzate a livello europeo: Daphne Caruana Galizia, Jan Kuciak, Peter de Vries); la pressione delle mafie nel settore agro-alimentare (dallo sfruttamento bracciantile alla grande distribuzione, passando per le frodi ai fondi europei e le contraffazioni del made in Italy); il traffico illegale di armi rimpinguato dalla recrudescenza dei conflitti sui confini europei. Et cetera.

Se questi (parzialissimi) punti dovrebbero bastare ad esaurire il “se”, bisognerà invece tenere il fiato sospeso sul “come”. Governo e Parlamento sono di fronte a due strade: fare della Commissione antimafia un luogo di alta rappresentanza del senso comune per la sacralità delle Istituzioni e quindi della Repubblica, oppure fare della Commissione un ring isterico, condito da personalismi sterili, veti contrapposti, amnesie interessate. Sarebbe davvero un peccato se la Commissione si riducesse a palcoscenico per la solita compagnia di giro o a rodeo. L’Italia e in particolare le migliaia di vittime-vive della violenza mafiosa meritano di poter guardare alla Commissione con rispetto e fiducia.

Questa questione troverà la sua soluzione, buona o cattiva, nelle scelte che i partiti faranno rispetto alla sua composizione, a cominciare dalla individuazione del o della presidente e dell’ufficio di presidenza. Essendo la Commissione bicamerale e quindi formata, solitamente, da un uguale numero di deputati e senatori, e resistendo una convenzione relativa alla alternanza tra Camera e Senato sulla presidenza, ci si può aspettare che il/la presidente sarà appartenente alla Camera dei Deputati (essendo stato il senatore Morra a presiederla nella XVIII legislatura). Vedremo. La cosa importante fin d’ora è non dare nulla per scontato, nemmeno la rinnovata istituzione della Commissione, esiste infatti un precedente: nella VII legislatura, durata dal giugno del ’76 al luglio del ’79, niente Commissione. Formidabili quegli anni, come rischiano di essere questi nostri, allora cambiarono tre governi in tre anni (più o meno come ai tempi nostri), tutti e tre ebbero lo stesso presidente però: Giulio Andreotti.

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