Con lodevole trasparenza, la Regione Piemonte informa i cittadini che quasi 60 milioni di euro del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, vulgo Pnrr, sono destinati a concreti progetti di difesa del suolo. Una iniziativa ammirevole che tutte le regioni certamente seguiranno. Dopo più di un secolo di opacità, negli anni Dieci di questo secolo, la “struttura di missione” #italiasicura aveva intrapreso una operazione di diffusione e trasparenza delle informazioni sulla questione che, dall’unità in poi, tormenta il nostro paese. Lo “sfasciume pendulo sul mare” come lo definì Giustino Fortunato nel 1904.

E, con la sepoltura di #italiasicura, l’informazione è ritornata a sotto traccia sopraffatta dalle crisi successive: sanitaria, bellica, energetica. Nonostante la eccezionalità del provvedimento post-pandemico, la somma non è così cospicua. Largamente inferiore al danno atteso ogni anno per via delle intemperie e dalla stanchezza dell’idrografia, assediata dall’uomo.

E, da sempre, il Piemonte è uno dei protagonisti dell’italica fragilità idrogeologica; una presenza costante sul catalogo dei disastri, al pari di Liguria, Campania e Calabria. Riprendendo le raccomandazioni della Commissione De Marchi del 1970, anche in termini di investimenti, #italiasicura valutava un fabbisogno annuale “ordinario” assai superiore al miliardo di euro per intervenire efficacemente in difesa del suolo e mitigare il rischio alluvionale. A fronte di almeno tre miliardi di danni accertati ogni anno, senza contare le vittime.

L’elenco degli interventi, reso anch’esso disponibile in rete dalla Regione Piemonte, riporta una varietà e molteplicità di iniziative come naturale per un problema complesso e sfaccettato. Poiché coniugare sicurezza idraulica e viabilità sembra il focus predominante, gran parte degli 87 interventi previsti riguardano sistemazioni, ricostruzioni, consolidamenti, protezioni e altri lavori d’ingegneria civile dedicati al corpo stradale. E comprendono anche ricostruzioni, ripristini e adeguamenti di ponti, spesso causa di innesco delle esondazioni se con luci insufficienti o, peggio, mal localizzati, progettati e realizzati.

A fiumi, torrenti e rivi sono invece destinati interventi che riguardano traverse, sistemi arginali, difese spondali, sistemazioni idrauliche degli alvei. Tutti indispensabili, certamente, alla luce dell’odierno assetto territoriale. Spesso, anche se non sempre, camicie di forza idrografiche. Soltanto in qualche caso sono esplicitamente previsti interventi ripristino o adeguamento delle sezioni idrauliche auspicabilmente per migliorarne la capacità e dare un po’ di fiato alla idrografia. E, in un caso, viene realizzata una “area esondabile”, una zona riparia di naturale espansione.

Se il Pnrr è un provvedimento di assoluta emergenza, il piano piemontese ne interpreta perfettamente lo spirito, poiché va in gran parte a sanare il danno idrogeologico, soprattutto alla viabilità. Speriamo che, a lungo respiro, la pianificazione ordinaria di difesa del suolo e gestione del rischio alluvionale e di frana sappia promuovere una strategia consistente con i suggerimenti del mondo scientifico negli ultimi quarant’anni, finora ignorati. Un ventaglio che comporta azioni articolate e continue progettate in un contesto di salvaguardia degli ecosistemi e del paesaggio, di consapevolezza idrologica della pianificazione territoriale, di freno al consumo di suolo. Azioni che comprendono la delocalizzazione degli elementi a rischio.

Tra le iniziative del Pnrr piemontese non è elencato alcun intervento di delocalizzazione, forse non incompatibile con tempi e modi previsti dal Piano. Quando la politica ha sostenuto questa soluzione, come nel caso della foce del torrente Quiliano tra Savona e Vado Ligure, la spesa pubblica ne ha tratto giovamento. I cittadini delocalizzati hanno apprezzato nuove e migliori soluzioni insediative, qualche ulteriore vittima è stata risparmiata. Nel progettare una soluzione, anche post-emergenziale, raramente questa opzione viene presa in esame in termini di beneficio e costo, anche perché le imprese e i cittadini hanno difficoltà a coglierne la validità.

In qualche vallata lombarda, dove questa proposta mi fu rimbalzata con biasimo molti anni fa, le opere di ingegneria civile, vuoi modeste vuoi perfino impegnative, non sempre sono state decisive. Le bombe d’acqua hanno duramente colpito anche dove già lo avevano fatto “a memoria d’uomo” e l’uomo aveva posto rimedio rifiutando di farsi più il là. L’arte idraulica e le opere di ingegneria sono assai importanti e affatto indispensabili, ma efficaci soltanto nel quadro di un assetto del territorio rispettoso dell’idrografia. Un quadro in cui anche l’arte idraulica ha un suo perché, ma per la legge del contrappasso, viene spesso ignorata da un pensiero monolitico e mono-disciplinare ormai superato.

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