Leonardo si conferma il maggiore beneficiario dei fondi Ue per l’industria bellica, aumentando il distacco rispetto agli altri gruppi di armamenti europei. Lo rivela un nuovo rapporto pubblicato oggi dalle ong Lega europea per il disarmo (ENAT) e Stop al commercio delle armi (Stop Wapenhandel), che Ilfattoquotidiano.it ha visionato in anteprima. Analizzando gli ultimi dati pubblicati dalla Commissione europea, lo studio avverte che la maggior parte dei finanziamenti finiscono in tasca a quegli stessi produttori che macinano profitti vendendo armi in Paesi coinvolti in conflitti armati o nella violazione dei diritti umani. Uno di questi è appunto Leonardo, al 13esimo posto tra i primi 100 esportatori di armi al mondo (elenco 2021 dell’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma – Sipri), con vendite per un valore di 10 miliardi e 600 milioni di euro.

In Europa, l’azienda tricolore è seconda solo alla britannica BAE Systems (22 miliardi e 700 milioni) e Airbus, il conglomerato trans-europeo con sede in Olanda (11 miliardi e 300 milioni), piazzandosi sopra le società francesi Thales (8 miliardi e 500 milioni) e Safran (4 miliardi e 300 milioni). Tali aziende, insieme alla spagnola Indra (che produce tecnologie per terzi), sono tra quelle che si arricchiscono di più dalla vendita di armi a parti coinvolte in conflitti come in Siria e Yemen o a dittature che violano sistematicamente i diritti umani, come Egitto e Arabia Saudita. E hanno incassato tutte insieme (tranne BAE Systems, poca attiva causa Brexit) oltre un terzo dei fondi che dal 2016 in poi continuano a finire nelle mani di pochi : i primi 15 beneficiari hanno infatti ricevuto il 52% del totale.

Il conteggio degli importi ottenuti dal colosso italiano dal 2019 al 2021 è giunto a quota 34,7 milioni di euro (8 % del totale), seguito da Thales (5.64%), Indra (6.43%), Airbus (3.46%) e Safram (4.68%). Le cifre sono tuttavia destinate ad aumentare. La Commissione, infatti, ha finora reso nota la ripartizione di solo il 73,6% delle somme complessivamente erogate (434,45 milioni di euro su un totale di 590 milioni di euro). Mancano all’appello ancora alcuni dei progetti sostenuti dai due programmi transitori PADR (ricerca) ed EDIDP (produzione) che negli ultimi cinque anni hanno preparato il lancio del fondo European Defence Fund (EDF).

Con 8 miliardi di euro stanziati dal 2021 al 2027, l’EDF mira a co-finanziare progetti transfrontalieri nel settore della Difesa insieme ai bilanci nazionali. Obiettivo: l’aumento degli investimenti comuni degli Stati membri per rendersi autonomi dagli Usa e rafforzare la sicurezza europea. Un tema reso d’attualità dall’attacco della Russia all’Ucraina che minaccia da vicino il fianco est dell’Ue. Ma dietro questa motivazione geopolitica, secondo gli attivisti, il vero obiettivo è il profitto dei produttori di armi. “È chiaro che la competitività industriale e l’aumento delle esportazioni di armi è l’elemento centrale della strategia Ue”, si legge in un precedente studio dell’Enat.

La strategia di riarmo in Europa è il risultato di un’intensa azione di lobbying dell’industria bellica. L’analisi di documenti confidenziali, pubblicata nel 2017 dal movimento pacifista belga Vredesactie, dimostra che l’Edf è un copia-incolla delle proposte che i rappresentanti dell’industria hanno avanzato nei quasi 50 incontri avuti con gli euro-funzionari sin dal 2014. Nel 2015 la Commissione europea ha ufficialmente aperto le porte all’influenza esercitata dall’industria, costituendo il Gruppo di personalità per la ricerca sulla difesa. Quest’organo consultivo ha contribuito a definire il programma di investimenti militari dell’Ue, poi sfociato nella creazione dell’attuale Edf. Leonardo vi ha partecipato, insieme ad Airbus, BAE Systems, Indra ed altre entità che hanno ottenuto oltre il 28 % dei fondi Ue (stando agli ultimi aggiornamenti che, come detto, sono sottostime).

Ciascun progetto co-finanziato dalle casse comunitarie è gestito da un consorzio a cui partecipano aziende di più Paesi. A coordinare la stragrande maggioranza dei progetti PADR ed EDIDP, pari al 65% degli stanziamenti complessivi, sono le compagnie di quattro Paesi : Francia in testa, seguita da Italia (25%), Spagna e Germania. I loro governi nel 2017 hanno lanciato l’iniziativa “Cooperazione strutturata permanente” per la difesa (PESCO) per selezionare progetti speciali a cui spetta un bonus di co-finanziamento Ue del 10%. Leonardo e altri gruppi si accaparrano indirettamente ulteriori soldi dei contribuenti grazie alle loro società partecipate che a loro volta sono inserite in diversi consorzi. Con la sua rete tentacolare, Leonardo riunisce 59 entità in 21 Paesi, tra cui l’Italia e altri 8 Stati europei, che hanno ottenuto complessivamente oltre 6,8 milioni di euro. In tal modo, la fetta di fondi Ue sotto il controllo di Leonardo lievita del 20%, raggiungendo 41,5 milioni di euro. È seconda per numero di partecipate solo al gruppo francese Thales che è azionista in 67 aziende in 24 Paesi, tra cui la Francia e altri 11 Stati europei, ma che tramite di esse riceve meno di 5 milioni di finanziamenti indiretti. Terzo in classifica è il conglomerato transnazionale Airbus, presente in 24 Paesi, inclusi Germania, Francia, Spagna e altre 7 nazioni europee, attraverso le quali transita quasi la metà dei fondi Ue che fanno capo al gruppo. Indra e Safran hanno invece intascato solo finanziamenti diretti. Oltre a Leonardo, altri 43 enti tra aziende italiane (alcune partecipate dalla stessa Leonardo) e centri di ricerca hanno racimolato un totale di oltre 29 milioni di euro.

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