Non solo Camera e Senato. Nelle elezioni di midterm americane sono tante infatti le cariche locali sulle quali si sfideranno repubblicani e democratici. In particolare sono 36, complessivamente, gli Stati in cui si elegge il governatore. In 20 di questi, sono oggi i repubblicani a governare; 16 sono invece retti dai democratici. Importantissima appare, ancora una volta, la battaglia della Pennsylvania, dove si scontrano il democratico Josh Shapiro (a sinistra nella foto) e il repubblicano Doug Mastriano (a destra nella foto), un veterano di guerra, nazionalista cristiano, ennesimo candidato legato a Trump, di cui condivide la tesi dei brogli elettorali. Shapiro è dato per favorito in un confronto che ha visto riemergere accuse e polemiche sull’antisemitismo: Mastriano ha accusato Shapiro, che è ebreo, di mandare i figli in scuole costose e di élite, rimodulando l’eterno pregiudizio dell’ebreo ricco e indifferente al bene della nazione cristiana.

In Georgia c’è il remake dello scontro del 2018 tra la democratica, star del partito a livello nazionale, macchina da guerra della partecipazione elettorale Stacey Abrams e il repubblicano e attuale governatore Brian Kemp, colui che nel 2020 ha sfidato le furie di Donald Trump in tema di brogli elettorali nello Stato. Kemp è avanti di quattro/cinque punti, quindi più del margine risicato di 1,8 punti con cui vinse nel 2018. Abrams però spiega che i sondaggi non colgono la realtà del voto dei giovani e dei neri. In caso di una vittoria della candidata democratica, si dovrebbe certificare l’ormai definitivo passaggio al campo progressista di uno degli Stati dove più forte è stato il dominio del segregazionismo e del pensiero conservatore.

Da osservare con un pensiero al 2024 è la sfida in Florida, dove si fronteggiano il governatore uscente, Ron DeSantis e il democratico, ed ex governatore, Charlie Christ. Quasi certa la vittoria per DeSantis, che ha rivoluzionato la politica della Florida, aumentando di decine di migliaia i repubblicani registrati al voto, stimolando lo sviluppo economico e tecnologico, assumendo posizioni di chiusura totale su immigrazione e aborto. Bisognerà capire i margini della vittoria di DeSantis. Se questa sarà risonante, soprattutto se DeSantis sarà capace di conquistare larghe porzioni di voto ispanico, la sua candidatura alle presidenziali 2024 appare certa.

Stesso discorso, ma nel campo opposto, vale per la California. Certa la riconferma, ma bisogna capire l’entità della vittoria, per il governatore uscente, il democratico Gavin Newsom. In questi ultimi anni, Newsom ha cercato di posizionarsi come il Ron DeSantis delle cause liberal: audace, inflessibile, visionario – lavorando anche per fare del suo Stato l’alternativa progressista alla Florida: in uno spot TV ha chiesto ai residenti della Florida di lasciare lo Stato, dove la libertà è in pericolo, e andare in California. Anche nel caso di Newsom, vale quanto detto per DeSantis. Una vittoria convincente potrebbe fare proprio di Newsom un candidato forte per i democratici nel 2024.

In Michigan la corsa per governatore è stata accompagnata e resa ancora più calda dalla battaglia sull’aborto. L’8 marzo, nello Stato, si voterà anche un referendum per inserire nella Costituzione del Michigan il diritto all’aborto. Qui la governatrice democratica uscente, Gretchen Withmer, cerca di fronteggiare l’attacco della repubblicana Tudor Dixon, commentatrice politica e astro nascente nell’empireo trumpiano.

Un’altra fulminata dal trumpismo è la giornalista TV Kari Lake, che corre in Arizona. Lake ha dedicato buona parte del suo lavoro di giornalista a diffondere il “negazionismo elettorale” trumpiano. Trump se ne è accorto e alla fine ha concesso a Lake il suo prezioso endorsement. Lo zelo della candidata non sembra però ripagato. Molti sondaggi danno Lake in difficoltà nei confronti dell’avversaria democratica, Katie Hobbs. Da buona “negazionista”, Lake ha però già spiegato che non accetterà il risultato delle elezioni, nel caso dovesse perdere.

Interessante il caso dell’Oklahoma, indiscusso feudo repubblicano (qui Trump ha vinto con oltre 30 punti di vantaggio nel 2016 e nel 2020), dove però il governatore repubblicano uscente, Kevin Stitt, appare in difficoltà. Le cinque maggiori comunità di nativi americani dello Stato, tra questi la Nazioni Cherokee e Choctav, hanno appoggiato la sua rivale democratica, Joy Hofmeister. I nativi americani sono furibondi perché il governatore ha deciso di rinegoziare i loro diritti di pesca e di caccia, oltre agli accordi sui casinò.

La sfida che però a questo punto suscita più interesse è, inaspettatamente, quella di New York. Nello Stato i democratici registrati sono il doppio di quelli repubblicani. Ma la democratica Kathy Hochul, che ha sostituito Andrew Cuomo costretto alle dimissioni, fatica a reggere l’urto del repubblicano Lee Zeldin, che sta facendo campagna praticamente su un solo tema: il crimine. Negli ultimi giorni, in aiuto di Hochul, sono arrivati i big del partito, da Hillary e Bill Clinton a Kamala Harris. Il risultato è attesissimo. Una sconfitta per i democratici a New York non sarebbe soltanto uno choc e la realizzazione di qualcosa di sinora impensabile. Equivarrebbe a un vero e proprio sisma politico, con contraccolpi molto seri a livello nazionale.

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