Dal ministero dell'Economia smentiscono un ruolo nella scelta della partecipata di sospendere dall'oggi al domani gli acquisti di crediti fiscali. Che va in direzione opposta al segnale di fiducia richiesto dal mercato
L’azionista se ne chiama fuori: dal ministero dell’Economia smentiscono vigorosamente di aver avuto un ruolo nella mossa di Poste Italiane, che lunedì 7 novembre ha deciso da un giorno con l’altro di smettere di acquistare crediti fiscali generati con opere di efficientamento energetico previste dal Superbonus. Eppure, trattandosi di società che tra quote indirette e dirette fa capo per oltre il 64% al dicastero del ministro Giorgetti, la mossa è suonata come uno schiaffo alle istanze dell’edilizia che chiedeva allo Stato, e alle sue partecipate, un segnale di fiducia. Il tutto poi comunicato con due righe stringate sulla pagina di prodotto del sito di Poste che spiegano come l’acquisto di crediti sia stato sospeso a data da destinarsi, precisando che la decisione non tocca le pratiche già avviate.
Ci mancherebbe altro, potrebbe dire qualcuno. E a poco vale la giustificazione secondo cui Poste fa quello che i grandi istituti del Paese hanno fatto già da tempo, perché gli acquisti di Poste, al netto del fatto che si tratta di azienda di proprietà dello Stato, sono molto diversi da quelli delle banche. Queste ultime infatti hanno prevalentemente costruito e venduto dei prestiti per le ristrutturazioni, prima garantiti e poi saldati dai crediti fiscali che si sarebbero generati con i lavori edili. Poste invece ha prevalentemente comprato i crediti di prima mano, direttamente dal titolare della ristrutturazione e della detrazione, per intenderci e solo una volta che si erano formati. Ora il dietro front, per di più a ridosso della chiusura dell’anno fiscale, successivamente al quale la percentuale di detrazione sembra destinata a scendere dal 110 al 90 per cento, è po’ un colpo per chi sta correndo a chiudere i cantieri per evitare di smenarci in corso d’opera.
Proprio il comportamento delle partecipate statali è finito nel mirino dei costruttori, con l’Ance che ha lanciato l’allarme per la “speculazione pazzesca” a danno delle aziende, che a suo dire è nata proprio per la stretta ai cordoni della borsa praticata dalle aziende pubbliche. In questo caso il problema non è la capacità di assorbimento, denuncia l’associazione, ma la volontà politica. E il risultato è che chi ancora acquista i crediti lo sta facendo a percentuali bassissime, sfruttando la “disperazione delle imprese“: se prima il credito al 110% veniva acquistato in media al 102%, ora si arriva anche all’85%.
“Stiamo chiedendo da tempo lo sblocco di tutte le partecipate pubbliche. Serve un segnale di fiducia, senza si fanno saltare migliaia di imprese”, ha detto la presidente dei costruttori che, oltre a Poste, tira in ballo anche Cassa depositi e prestiti. La situazione sembra particolarmente complessa per le piccole aziende, che con la Cna chiedono di convocare urgentemente un tavolo per trovare una soluzione. Una verifica è chiesta anche da Confedilizia, che propone un approfondimento prima di nuove ennesime modifiche.
Poste, che ha complessivamente rilevato una decina di miliardi di crediti, è ferma da quasi un anno nell’acquisto dalle imprese e ora ha chiuso i rubinetti anche nei confronti dei privati che hanno crediti di minore entità, tra i 100.000 e i 150.000 euro. La mossa potrebbe essere conseguente alle recenti sentenze della Cassazione che hanno disposto il sequestro dei bonus edilizi ceduti, ritenendo che le fatture in acconto dei lavori si riferissero in realtà a operazioni inesistenti. In altre parola la manleva estiva così come è stata formulata non sta funzionando.
Resta il fatto che la decisione di Poste ha fatto saltare gli interessati sulla seggiola. Francesco Silvestri, presidente del gruppo M5S alla Camera, parla di decisione “gravissima” e ha chiesto al ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, di riferire in aula in occasione del dibattito sulla Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza (Nadef). “Riteniamo inammissibile che una società a controllo pubblico come Poste non contribuisca a una circolazione indispensabile a far funzionare le agevolazioni – sottolinea -. Ricordiamoci che decine di migliaia di aziende rischiano di chiudere, se il meccanismo non viene restituito alla sua piena funzionalità”.