“I’m back bitches!!!” è l’urlo liberatorio di Tiziano Ferro al termine del brano “Il paradiso dei bugiardi”, che apre il nuovo album “Il mondo è nostro”, in uscita l’11 novembre. Ed è proprio così, il cantautore è tornato con un album ottimamente prodotto e con testi che lo vedono ancora una volta impegnato nella scrittura, da solo, in prima persona, dopo un po’ di tempo. E quando è così, non ce n’è per nessuno. Un percorso esistenziale fatto di dialoghi con sé stessi, la gioia di diventare padre, fare i conti col passato e chiudere con le ferite delll’animo, la depressione e rilanciare l’ottimismo per una nuova vita. Tiziano Ferro, a 42 anni, mette tutto sé stesso in “Il mondo è nostro”. Un vero manifesto programmatico, nato durante la pandemia, ma con un messaggio di speranza per il futuro e le nuove generazioni. Un disco sincero, come pochi, con tredici brani, prodotti dallo stesso Ferro con Marco Sonzini. Collaborazioni importanti con Ambra, ThaSup, Roberto Vecchioni, Sting e Caparezza. Esclusa la partecipazione al prossimo Festival di Sanremo 2023 in gara, “già mi viene l’ansia quando vado ospite…”.
Il tuo disco è un urlo liberatorio post pandemia?
Arriviamo da un periodo dal quale abbiamo avuto l’obbligo fisico ad avvicinarci più a noi stessi e non è vero che tantissime persone ne hanno approfittato come avrei sperato. È stato un incipit interessante il fatto di doversi sedere per tanto tempo con me stesso, ho preferito farlo diventare una cosa costruttiva che altro.
Cosa ti ha lasciato il periodo che abbiamo vissuto?
Ho come l’impressione che l’esperienza del 2020 abbia creato un panico collettivo che sembrava avrebbe scolpito una coscienza completamente nuova negli esseri umani. Invece vedo che tantissime isterie superficiali sono tornate ed è come se nulla fosse accaduto, questa è una cosa che un po’ mi terrorizza perché se una lezione come quella non ha cambiato alcune persone, cos’altro?
Nessuna speranza?
Ma no, in verità ho anche visto che tantissime persone sono state in grado di accettare l’incomodo e farlo diventare una possibilità. C’è chi ha capito che era meglio star vicino alle persone che frequentavano, far diventare il rapporto qualcosa di più importante, persone che hanno scelto di smettere di fare un lavoro, gente che ha preferito curare la salute mentale. Di base mi attendevo un buonumore più alto e una saggezza superiore, ma non sono convinto sia accaduto.
Ne ‘Il paradiso dei bugiardi’ parli anche di persone che si sono rivelate brutte e false. Ricordi quando te ne sei accorto?
Credo nelle persone e sono molto ottimista però questa è una canzone che fa da monito a me. Le cose che ci feriscono, le facciamo accadere. Ad esempio gli haters, che ci provano a ferirmi e se li lascio passare – attraverso quella ferita – è perché è aperta e io sono disposto a sentirmi debole e fragile. Se penso a tutte le frasi di offesa, per esempio legate all’omofobia, che mi hanno ferito, hanno funzionato perché mi sono sempre sentito ‘difettato’ da quel punto di vista. Sono nato e cresciuto in una società che mi ha fatto pensare che essere gay era un difetto, un handicap e qualcosa di cui vergognarmi.
Le offese ti feriscono ancora?
Sì. Ancora oggi una offesa di quel genere, a causa di uno stress post traumatico, mi ferisce perché la lascio entrare io perché ancora c’è quel pezzo di testa e di cuore che sono stati plasmati in un tempo antico e non si cambia. Quindi questa canzone non l’ho scritta per attaccare chi mi ha ferito, ma per ricordarmi che gliel’ho permesso io e che posso non permetterglielo. C’è una frase che il rap chiama l’ego-trip e dice: ‘L’ipocrisia è la tua arte, la ammiro. Starei a disquisirne per ore… ma ho tre sere a San Siro‘ e quindi dico ciao! Non vuol dire che fare San Siro significhi che sarò il migliore… Ma se invece di dedicare cinque minuti a rispondere un hater, dedichiamo cinque minuti alle persone a cui vogliamo bene, c’è tanto da fare e possiamo fare meglio.
“La storia prosegue, il testimone è tuo”. È il messaggio che tuo padre ti ha inviato il giorno della festa del papà. Lì hai capito che qualcosa stava cambiando?
È un gesto al quale non siamo pronti in generale. In genere passiamo la vita a fare gli auguri al papà. Quello che mi lasciò interdetto fu il fatto che mi sentii quasi di non meritarlo, avvertii un senso di inadeguatezza. Fu strano. Ancora pensavo all’arto mancante, come se la testa fosse talmente intagliata attorno all’idea che ‘tu no, non puoi diventare genitore’. In questa canzone parlo di opportunità, miracoli, sogni ripresi, gratitudine. Nel disco ci sono canzoni che parlano ai miei figli. La festa del papà per me è stata una epifania.
Spostiamo le lancette del tempo: i tuoi due figli hanno 18 anni. Come te li immagini?
(Scoppia a ridere, ndr) Parlando con i miei amici della personalità che i bimbi dimostrano sin da piccolissimi, pensavo fosse luogo comune ma in realtà è vero, i figli fanno capire abbastanza presto qual è la loro personalità. Dico sempre che la ragazza (Margherita, ndr) ha già un carattere molto forte. Uno dei miei terrori più grandi era quello di ricevere la chiamata la scuola del preside ‘suo figlio è stato bullizzato’ e invece ho il terrore che mi chiamino dicendo che la bulla è lei! (ride, ndr) In compenso, non so come mai, lui (Andrés, ndr) lo immagino un pensatore, una persona che scrive libri con una personalità pacifica, traumatizzato da sua sorella!
Cosa dobbiamo aspettarci dal tour negli stadi, al via a giugno 2023?
Non canto dal vivo da sei anni. Se sei un amante di concerti, se l’artista è generoso e intelligente ti mette in piedi una scaletta che tenga la soglia dell’attenzione sveglia e non dimentica chi è da dove arrivi. Puoi cambiare l’estetica, il racconto, ma per me il tour è sempre un privilegio. Rappresenta tornare a fare questo mestiere, in piedi sul palco.
(Foto di Walid Azami)