di Carmine Di Filippo

S’è criticato come abuso il ricorso al decreto legge anche quando non ricorrono gli estremi di ‘necessità e urgenza’, come richiesto dall’art.77 della costituzione. Un altro abuso è quello di inserire in un decreto legge, che riguarda ‘casi straordinari di necessità e urgenza’, altri interventi che invece non hanno questa caratteristica. Può sembrare che un governo, col ricorso ai decreti legge, scavalchi il Parlamento, il potere legislativo. Ma un decreto legge deve poi passare al vaglio delle Camere, che possono modificarlo o meno, o anche non convertirlo in legge lasciandolo decadere.

Questo governo, col dl 162/2022, ha fatto come tanti altri. Questi abusi sono stati frequenti in passato e raramente i Presidenti della Repubblica hanno rinviato alle Camere i decreti legge per mancanza di quei requisiti, piuttosto per mancanza delle coperture finanziarie. Ha scritto male il decreto legge per la genericità della definizione del campo di applicazione. È un errore, perché non definire con precisione lascia spazio di interpretazione a chi deve poi applicare la norma. E si può pure criticare l’introduzione di una nuova fattispecie di reato con pene così severe per i rave party, peraltro nemmeno nominati, scelta inopportuna farlo con un decreto legge anziché presentare un disegno di legge.

Per quanto riguarda l‘entità della sanzione penale è ovviamente nelle ‘corde’ di questo governo sanzionare questi eventi. Però un eccesso sa di repressione. Si potrebbero normare meglio le condizioni per il rilascio dell’autorizzazione, invece si è scelto di sanzionare e praticamente vietare. Ma la nostra cara Costituzione, che l’uomo la protegga, ha anche l’Articolo 94. Dice: ‘Entro dieci giorni dalla sua formazione, il governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia’.

Un nuovo governo deve essere legittimato dal Parlamento con un primo voto di fiducia. E questo va bene. Poi dice: ‘Il voto contrario di una o d’entrambe le Camere, su una proposta del governo, non importa obbligo di dimissioni’. Il governante può proporre un dispositivo di legge, un decreto legge, e può porre la fiducia per la conversione in legge: la Costituzione lo prevede. Ma se non la ottiene non è costretto alle dimissioni. E allora perché porla? Pena la caduta del governo? Figuriamoci poi se si dovesse dimettere dopo averla avuta. È evidente che sarebbe una sua scelta personale, non in rapporto alla Costituzione. Se ci tiene all’approvazione di una sua proposta, il governante deve scrivere il decret0 legge in modo da prevederne l’accoglimento. Altrimenti pazienza, può continuare a governare.

È invalso l’ampio ricorso a (im)porre la fiducia. Io non vedo la prevaricazione del governo nel ricorso al decreto legge, ma in questa imposizione che viene fatta dopo il vaglio delle Camere, nel momento della conversione in legge. È in quel momento che il governo opera un ricatto al Parlamento. O approvi o il governo si dimette, con tutte le conseguenze possibili. E questo non va bene. Ricatto che non ci sarebbe se non fosse invalsa la prassi comunemente accettata così concepita: fiducia = approvazione oppure dimissioni.

Il problema è smantellare una prassi consolidata allo scopo di restituire piena legittimità al Parlamento, che vede repressa la sua autonomia (penso che sia avvertita da qualche parlamentare, boh). Potrebbe farlo un governante con una più che ampia maggioranza, per cui può ritenere che un decreto legge venga convertito senza il ricorso alla fiducia. L’Italia recentemente ha perso una occasione, purtroppo, dato che in condizioni come queste è stato posto il più alto numero di fiducie al mese di tutti i governi precedenti.

Spero che in futuro la Governante capisca che le sue proposte non possono essere imposte d’imperio, almeno finché c’è un Parlamento che deve approvare e una opinione pubblica che ha facoltà di esprimersi. Spero, cioè, che riduca il ricorso al voto di fiducia, che ripristini l’autonomia del Parlamento riducendone la subalternità al governo, anche per non accentuare lo scontro con l’opposizione. Anche questo è mantenere la pace sociale.

Vabbè, io spero.

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