“Mio padre è un eroe. Poteva abbandonare il lavoro alla centrale, prendere tutta la famiglia e mettersi al sicuro. Invece è voluto restare al suo posto per non mettere in pericolo la gente e il Paese. Violenze e minacce di morte? Oh certo, ma credo che mio padre, come altri, siano necessari, se non fondamentali, per mandare avanti la centrale ed evitare una catastrofe. Non possono farli fuori”. Masha (nome di fantasia), non ancora ventenne, si commuove quando parla del padre, uno dei tecnici ucraini che continua a lavorare alla centrale nucleare di Zaporizhzhia, oggi in mano all’esercito russo. Da quasi sei mesi vive da sola, più o meno in salvo a Kiev, ma in ansia per la sorte della sua famiglia, originaria e residente a Energodar, la cittadina dove si trova l’impianto. Per oltre tre mesi Masha e la sua famiglia sono rimaste unite, poi i genitori hanno deciso che almeno lei, la maggiore di tre figli, doveva andarsene e avere un’alternativa a un’occupazione drammatica e dagli incerti orizzonti.
“Il 27 maggio scorso ho lasciato Energodar, la mia casa e gli affetti e dopo un giorno terribile passato in attesa ai sette checkpoint russi ho superato il valico di Vasylivka (a metà strada tra Zaporizhzhia e Energodar. Da mesi nessuno può lasciare la città, il transito dei profughi attraverso il varco e la ‘zona grigia’ è vietato, ndr) e sono entrata nel territorio controllato dal mio Paese. È stata l’ultima volta che ho visto i miei genitori e fratelli, da allora riusciamo a parlare al telefono, ma le cose ultimamente sono cambiate anche su quel fronte”, racconta a Ilfattoquotidiano.it la ragazza che a Kiev lavora in una scuola. Proprio questo cambiamento tocca da vicino l’incertezza che si sta vivendo attorno alle sorti della più grande centrale nucleare d’Europa. L’impianto non è più collegato alla rete elettrica e l’alimentazione del sistema è garantita soltanto attraverso gruppi elettrogeni a diesel. Secondo fonti di Kiev, le autorità filorusse che controllano la città e la centrale hanno a disposizione scorte di carburante per circa due settimane.
Intanto dentro Zaporizhzhia resta al lavoro un numero indefinito di dipendenti, soprattutto ingegneri e tecnici: “L’ultima volta che sono riuscita ad avere informazioni da mio padre sulla centrale, più o meno 30-45 giorni fa, mi ha parlato di oltre cento persone. Fino a settembre, attraverso i social riuscivamo a scambiarci delle impressioni e delle informazioni riuscendo a rimanere in sicurezza, adesso le cose sono cambiate. Le comunicazioni social sono più difficili, restano le telefonate, che però sono registrate e ascoltate dagli occupanti, o il passaparola. È rischioso trattare argomenti sensibili, ma quanto meno riesco a parlare con mamma, papà e i fratellini. Come si può ben capire sono in fortissima ansia per le loro sorti. Ripeto, abbiamo discusso molto all’epoca su cosa fare e la decisione presa dai miei genitori di allontanarmi la capisco, ma io sto vivendo un incubo. Sono arrivata da sola nella capitale e da sola sono riuscita a risolvere i problemi, ma sempre con la paura in fondo al cuore di cosa possa accadere alla mia famiglia”.
Ma quali informazioni è stato possibile racimolare dalle conversazioni familiari prima del totale embargo? “La centrale è sempre stata più o meno in funzione, anche se a regimi ridotti e con la produzione fortemente rallentata – spiega la ragazza – L’impianto di Energodar continua a inviare energia all’Ucraina, sebbene di meno rispetto al passato. I russi stanno imponendo al personale di produrre energia da vendere al nostro Paese, ma i lavoratori si stanno opponendo. È una situazione difficile, i russi fanno tanta pressione per entrare in possesso della centrale sotto ogni profilo e trarre giovamento economico oltre che energetico. Stanno mostrando i muscoli, trattano male il personale della centrale. Le loro pressioni sono costanti e tra le prime cose che hanno fatto c’è chiedere tutta la documentazione possibile su ogni dipendente della centrale. Informazioni per schedare le persone e capire quali potrebbero essere più pericolose e con sentimenti anti-russi. La situazione si trascina da mesi e il problema è che il filo prima o poi potrebbe spezzarsi. Mio padre comunque non vive 24 ore dentro la centrale, può tornare a casa e rientrare al lavoro seguendo dei turni quasi normali. Lui non è un operaio e neppure un massimo dirigente, ma un tecnico di livello elevato, ruolo che si è garantito dopo oltre vent’anni di lavoro. Praticamente da quando sono nata io l’ho sempre visto in abiti professionali andare alla centrale nucleare”.
Energodar è famosa per la sua centrale nucleare, per il resto è una delle tante cittadine ucraine passata sotto il controllo russo. Le manifestazioni anti-russe dei cittadini tra la primavera e l’inizio dell’estate hanno rotto gli argini dell’informazione della propaganda, ma ora il cerchio è stato sigillato dai simpatizzanti del Cremlino. Ci sono stati bombardamenti, anche a facilities legate all’impianto nucleare, violenze, arresti e omicidi da parte degli occupanti nei confronti della popolazione. Infine c’è un dettaglio dell’occupazione filorussa che più di altri colpisce l’immaginario collettivo: “Nelle scuole gli insegnanti sono stati sostituiti. Via gli ucraini o simpatizzanti e spazio a quelli vicini alla dottrina di Mosca. Le materie, a partire dalla storia, vengono insegnate in maniera diversa e i fatti ribaltati – conclude Masha – I disegni dei bambini sono stati il cambiamento più traumatico: vietati riferimenti alla bandiera ucraina e così i soldati, i carri armati e gli aerei della guerra che compaiono hanno i colori della Federazione russa. I nuovi eroi”.