È sconsolante come non si riesca più a produrre un ragionamento semplice e sensato, in questa epoca iper-mediatizzata e caratterizzata da una rigida logica binaria che non va al di là del bianco o nero. Lo abbiamo visto anche in questi giorni a proposito del discorso sul “merito”, o meglio: su quanto nel nostro paese il criterio del merito venga quasi totalmente ignorato.

Incredibile il cumulo di sciocchezze, banalità e scorrettezze che abbiamo dovuto ascoltare da una parte e dall’altra. Complice anche il caso di Carlotta Rossignoli, la ragazza modella, influencer e tante altre cose che si è laureata a tempo di record in Medicina presso l’Università San Raffaele di Milano. Al netto di alcune dichiarazioni discutibili della suddetta (in merito al fatto che lei dorme poco e si vanta di ottenere ogni cosa in tempi ridottissimi) – che soprattutto non tengono conto della sua situazione di partenza abbastanza privilegiata – non voglio aggiungermi alla lista degli “sciacalli mediatici” che l’hanno appoggiata o criticata per ottenere la solita visibilità.

Non conosco personalmente questa ragazza e, al di là di tutto, non mi interessa di farne un caso personale, magari rischiando di ferire alcune sensibilità. Ciò che mi preme è denunciare come specialmente in Italia non si riesca ad affermare una sana cultura del merito.
Quelli che contestano il concetto da sinistra, temono la “meritocrazia”, cioè un regime che sarebbe sottomesso alla logica commerciale, iper-concorrenziale e “produttivistica” imposta dal Mercato. Insomma, secondo costoro quelli che parlano di merito vorrebbero affermare un contesto sociale in cui il valore delle persone viene stimato in base ai canoni che sono quelli dell’economia e della finanza. L’essere umano, in buona sostanza, dovrebbe sottomettersi ai tempi e ai modi propri del sistema produttivo.

In effetti coloro che promuovono il “merito” da destra, sembrano perlopiù seguire proprio i suddetti canoni: la persona meritevole – secondo costoro – dovrebbe essere quella che meglio e più contribuisce alla produttività economica e al progresso tecnologico. Senza considerare che in molti casi – seguendo una tale logica ultra-liberista – si finisce col premiare coloro che provengono da famiglie e situazioni di partenza più agiate e favorevoli, come potrebbe essere il caso proprio di Carlotta Rossignoli.

Il risultato è desolante: la somma delle incapacità – da parte della destra come della sinistra – di affermare una sana cultura del merito, produce una società in cui a risultare premiati sono di volta in volta i mediocri o i privilegiati.

Sì, ciò che colpevolmente si omette e dimentica, è che in assenza di criteri equi e oggettivi con cui riconoscere il merito delle persone (dai giovani a scuola fino agli adulti nel luogo di lavoro), le modalità con cui alcuni individui prevarranno sugli altri (perché sempre alcuni prevalgono su altri) sono quelli tristemente sotto i nostri occhi: benessere famigliare, migliore condizione di partenza, cooptazione da parte del potente di turno (magari a un prezzo salato), o al limite delinquenza e infrazione delle regole.

Soprattutto le forze sedicenti di sinistra, dovrebbero sapere che storicamente si è usciti dall’ “antico regime” (quello dove predominavano le tre caste privilegiate: nobili, sacerdoti e militari) grazie all’affermazione di istituzioni pubbliche (Scuola e Università su tutte) che – premiando il merito attraverso il sistema della votazione – hanno favorito quella mobilità sociale che ha consentito a tanti figli di famiglie povere di ottenere posti di lavoro (e di potere) che una volta erano appannaggio dei figli dei ricchi. Fu il filosofo americano John Rawls a risolvere l’annosa questione del conflitto fra libertà e uguaglianza, parlando proprio di istituzioni deputate a garantire “l’equa uguaglianza delle opportunità”.

Ad oggi la percentuale degli studenti diplomati è vicinissima al 100%, mentre le università sono diventate dei “laureifici” in cui il pezzo di carta non si nega a nessuno. Alle condizioni suddette, ci troviamo di fronte non soltanto al fallimento di un intero sistema educativo, ma anche al ritorno (di fatto) a una società in cui i criteri di affermazione delle persone sono sempre più soggettivi e legati al privilegio, alla cooptazione o alla delinquenza.

Pensiamoci bene: mediocrità, impreparazione e corruzione non sono forse le tre principali caratteristiche della peggiore classe politica e dirigente italiana da almeno un trentennio? Non sono forse i mattoni marci con cui si è costruita un’Italia largamente fondata sulla mediocrità, sul privilegio, sull’ingiustizia, cioè su un sistema bloccato che rende i ricchi sempre più ricchi e le classi medie e basse sempre più disagiate e prive dei diritti sociali?

Quanto ancora – mi chiedo – questo giochino sciocco e autolesionistico di destra e sinistra nel non favorire l’emersione dei talenti veri, produrrà un’Italia sempre più brutta, ingiusta e odiata dai giovani?!

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