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Midterm, i giochi per Usa 2024 si complicano: Trump vacilla e Biden potrebbe ricandidarsi

Ma che tsunami repubblicano! Manco l’onda rossa c’è stata. Al più, un po’ di acqua alta. La diga blu, il Mose democratico, ha tenuto. I repubblicani diventano maggioranza – risicata – alla Camera, ma restano minoranza al Senato, dove, anzi, i democratici strappano loro un seggio e si rafforzano. Ci vorranno giorni per i risultati definitivi, tra riconti e contestazioni; per il Senato bisognerà aspettare dicembre, perché in Georgia ci vorrà un ballottaggio.

Ma il senso del voto di Midterm appare chiaro. I giochi per Usa 2024 si complicano: Donald Trump, che la settimana prossima, martedì 15, annuncerà la sua candidatura alla nomination repubblicana, non è affatto sicuro di ottenerla, perché gli cresce contro il prestigio di Ron DeSantis, suo ex sodale, confermatissimo governatore della Florida; e Joe Biden potrebbe non decidere di farsi da parte, visto che i democratici sono andati molto meglio del previsto. Anche se, nei ranghi democratici, emergono, in prospettiva presidenziale, due governatori vincenti, Gavin Newsom (California) e Gretchen Whitmer (Michigan). Campane a morto, invece, per le ambizioni di Beto O’Rourke, battuto per la seconda volta in Texas, e di Stacey Abrams, ancora sconfitta in Georgia.

Per il presidente Biden, la seconda metà del suo mandato si profila difficile: la Camera repubblicana lo costringerà a negoziare ogni scelta e gli impedirà di portare avanti la sua agenda; e c’è una pletora di negazionisti in Congresso – almeno un centinaio di eletti lo considerano un presidente illegittimo, perché il voto 2020 sarebbe stato truccato -. La linea dell’Amministrazione sull’Ucraina è a rischio: Kevin McCarthy, probabile nuovo speaker della Camera, ha già detto “basta” agli assegni in bianco, economici e militari, a Kiev; e la sinistra democratica chiede iniziative diplomatiche per innescare un processo negoziale.

Ci sono tante prime volte: fra le altre, la prima donna senatrice in Alabama; il primo senatore Cherokee in Oklahoma da cent’anni a questa parte; il primo eletto transgender in New Hampshire; il primo governatore nero nel Maryland, la prima donna gay governatore nel Massachusetts. Sarah Huckabee Sanders, repubblicana, ex portavoce di Trump alla Casa Bianca, vince in Arkansas e diventa governatrice (come suo padre). Maxwell Alejandro Frost, 25 anni, democratico, conquista un seggio alla Camera in Florida e diventa il primo della generazione Z a sedere in Congresso: attivista per la giustizia sociale, è un esponente di March For Our Lives, il movimento che chiede controlli più stringenti sulle armi nato dopo la strage alla scuola di Parkland. In Ohio, la spunta, per un posto di senatore J.D.Vance, l’autore di ‘Hillbilly Elegy’, un protetto di Trump.

Biden, a caldo, non commenta. Trump ha veleno per DeSantis: “Se Ron corre per la Casa Bianca, deve stare attento: dirò cose non belle sul suo conto. So di lui più di chiunque altro, forse persino più di sua moglie”. Come al solito, il magnate non va tanto per il sottile.

Il voto conclude una stagione elettorale tumultuosa, che ha di nuovo messo in evidenza le profonde divisioni politiche dell’Unione e sollevato interrogativi sulla tenuta della democrazia. I repubblicani hanno pronti – o hanno già presentato – ricorsi contro i voti per corrispondenza negli Stati in bilico, in quello che i loro critici definiscono un tentativo di conculcare il diritto di voto. La mossa può ritardare la pubblicazione dei risultati nelle corse incerte e creare contestazioni destinate a protrarsi nel tempo e ad arrivare fino alla Corte Suprema. E la richiesta di ripetere manualmente i conteggi dei voti fatti elettronicamente sembra nascere dal desiderio di creare sfiducia nel sistema elettorale: è infatti praticamente impossibile che i due risultati siano esattamente identici.

Per prendere il controllo del Congresso, ai repubblicani bastava poco: si eleggevano tutti i 435 deputati – i democratici ne avevano 220 e i repubblicani 212, con tre posti vacanti – e 35 dei 100 senatori – erano 50 pari: la maggioranza democratica posava sul voto del presidente del Senato che è il vice-presidente degli Stati Uniti, Kamala Harris -. Pure da rinnovare 39 governatori, in 36 Stati e tre territori; e c’erano numerose altre elezioni statali e locali e alcuni referendum, ad esempio sull’aborto e sulle regole del voto.

I sondaggi della vigilia davano ai repubblicani un netto vantaggio sui temi economici, che, a causa soprattutto dell’inflazione, sono stati dominanti in questa consultazione, e ritenevano quasi scontata la riconquista della maggioranza alla Camera. Tanto più che l’elettorato repubblicano appariva più motivato di quello democratico. Anche la cabala stava con i repubblicani: il voto di Midterm, tradizionalmente, ‘punisce’ il partito alla Casa Bianca; e, in questa stessa data, l’8 ottobre 1994, 28 anni or sono, i repubblicani conquistarono sia la Camera che il Senato per la prima volta da 40 anni, sotto la spinta dell’allora loro leader Newt Gingrich.

Le corse chiave erano decine. I democratici giocavano sulla difensiva, specie alla Camera, dove alcuni loro seggi erano minacciati, anche in aree tradizionalmente loro favorevoli. Per il Senato, l’attenzione era puntata su sei Stati: Arizona, Nevada, Georgia, Pennsylvania, Michigan e Wisconsin.

A livello di governatori, occhi puntati sulla Georgia, dove il repubblicano ‘anti-Trump’ Brian Kemp l’ha spuntata, e sullo Stato di New York, dove Ronald Lauder ha speso un sacco di soldi per cercare di riscattare i repubblicani da anni di insuccessi: missione fallita, perché la governatrice in carica, la democratica Kathy Hochul, ne è uscita alla grande.

Il nuovo Congresso avrà impatto sulle decisioni dell’America nei prossimi due anni, non solo e non tanto sulla guerra in Ucraina, che non è stata un tema di questa campagna, anche se divide democratici e repubblicani e spacca al loro interno i democratici, ma su economia e diritti, clima e istruzione, immigrazione e criminalità. Per il Washington Post, una vittoria repubblicana avrebbe fatto scendere sull’Ucraina “un inverno repubblicano”. Gli elettori sono andati alle urne sostanzialmente scontenti – diceva un exit poll del WP – di come va l’Unione e dell’operato di Biden, ma con un’opinione ancora più negativa di Trump.

Nelle ultime battute della campagna elettorale, Biden, ma anche gli ex presidenti Barack Obama e Bill Clinton, come pure Trump, sono scesi in campo: Biden e Obama, per sostenere in Pennsylvania il candidato al Senato John Fetterman, che l’ha spuntata; Trump per insistere sull’idea che l’America sia in declino e per predirne la distruzione se lui e i suoi sodali non avessero vinto. Dal canto suo, Biden dice che il voto peserà sui destini americani per i prossimi vent’anni e Obama teme un ritorno indietro dei diritti di cinquant’anni – con l’aborto, è già avvenuto -.

In realtà, la vera paura dei democratici è un ritorno indietro di cinque anni, al 2017 e all’insediamento di Trump. L’incubo, dopo il voto, non è sventato, ma è meno immanente.