Doveva essere la sua occasione per vendicare la sconfitta ingloriosa alle ultime Presidenziali, ma anche per schiacciare definitivamente l’opposizione interna al Partito Repubblicano e rimettere al loro posto coloro che, nel Grand Old Party, mentre lo sostengono sperano che un’alternativa si materializzi al più presto. Ma così non è andata e la personale corsa di Donald Trump e dei suoi candidati di bandiera al voto di midterm, con lo spoglio ancora in corso, sembra riconsegnare ai Conservatori americani la possibilità di un futuro oltre il tycoon. Dei suoi circa 300 candidati, una buona percentuale è stata eletta, ma sono i nomi più identitari, quelli che più rappresentavano la sua politica e il suo pubblico, ad aver steccato. Se a questo si aggiunge la valanga di voti con i quali la Florida ha eletto il Repubblicano Ron DeSantis, adesso anche la candidatura di The Donald alle prossime Presidenziali 2024 sembra essere a rischio.

Fino a qualche settimana fa la ricandidatura del magnate, se non scontata, appariva come l’opzione più concreta per il Repubblicani. E forse è ancora così, ma l’exploit di DeSantis ha risvegliato i sentimenti di chi nel partito è legato ai vecchi valori conservatori o, comunque, non si rivede nelle teorie estremiste e complottiste del tycoon e dei suoi sostenitori. Anche perché il governatore è una figura tutt’altro che divisiva nel Gop: legato alle posizioni storiche dei conservatori, come quelle sul sostegno alla diffusione delle armi e l’avversione verso le posizioni pro-abortiste, ma senza mai sfociare nelle teorie del complotto. A renderlo ‘divisivo’, semmai, è proprio la distanza tenuta dal magnate negli ultimi due anni. Mentre nel 2018 chiese il suo appoggio per l’elezione, in questi due anni ha portato avanti il suo personale distacco da The Donald, tanto da guadagnarsi l’appellativo di “concorrente” proprio per bocca dell’ex presidente.

DeSantis ha negato una propria candidatura per le Presidenziali 2024, ma due anni sono lunghi e il governatore può sfruttarli per cavalcare l’onda della visibilità e attirare a sé tutta quella base di partito che non vuole di nuovo correre il rischio di essere fagocitata dal trumpismo che ha monopolizzato la storia politica conservatrice dal 2016 ad oggi. Che vi sia questo rischio lo sa bene anche l’ex presidente che, nonostante il buon risultato repubblicano, anche se non si è assistito alla tanto attesa “ondata rossa”, viene descritto dalle persone a lui vicine come “livido, ha urlato contro tutti” per il risultato del voto.

Questo perché tra i trumpiani sconfitti ci sono nomi pesanti. Uno è certamente quello di Mehmet Oz, il medico star conosciuto come dottor Oz che è stato battuto in Pennsylvania da uno dei nomi che oggi sta circolando più di altri sui media americani: John Fetterman, laureato ad Harvard e sindaco di un piccolo centro di meno di 2mila persone che rappresenta la più importante candidatura dal basso di questa tornata. Nello stesso Stato, anche Josh Shapiro ha vinto la corsa per diventare governatore contro Doug Mastriano, il nome di punta tra le candidature del tycoon. In Michigan, Tudor Dixon non è riuscito a spodestare la governatrice Gretchen Whitmer, mentre in Arizona le fedelissime Kari Lake e Blake Masters sono rimaste indietro nella corsa rispettivamente alla presidenza e al Senato. Tutti casi, questi, che porteranno il Grand Old Party a porsi una domanda su tutte: è ancora conveniente sostenere Trump e i suoi eccessi se il suo nome non è più in grado di attirare voti come nel 2016?

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