Il braccio di ferro tra il governo Meloni e le due navi umanitarie Humanity 1 della ong Sos Humanity e la Geo Barents di Medici Senza Frontiere ha riacceso il dibattito sul ruolo giocato dalle organizzazioni internazionali sul fenomeno dell’immigrazione e più in generale sulle partenze dal nord dell’Africa. Partenze che proseguono nonostante il rafforzamento delle frontiere esterne dell’Europa, a cui l’Italia contribuisce tramite progetti che vedono coinvolta non solo la Guardia Costiera libica, ma anche quella tunisina. A riaccendere la polemica sulle navi umanitarie quale fattore di attrazione dell’immigrazione è stato di recente lo stesso ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, che ha ripreso una narrazione del soccorso in mare cara alla destra, ma non solo. Le parole di Piantedosi, però, non trovano riscontro nei dati pubblicati dal suo stesso Dicastero e che fotografano una realtà ben diversa da quella che viene raccontata negli ultimi giorni.
Da gennaio a oggi, infatti, solo l’11,5% degli 87.370 migranti arrivati in Italia è approdato sulle coste italiane dopo essere stato soccorso da una nave umanitaria. Parliamo quindi di sole 10.276 persone. Il dato è tra l’altro in linea con quello degli anni precedenti: nel 2021 le Ong hanno portato in salvo 9.999 persone, ossia il 15% circa del totale, nel 2020 altre 3.416, pari all’11,5%, e 1.998 nel 2019 (17,4%). Restringendo il focus sugli arrivi degli ultimi dieci giorni, l’inesattezza delle parole del ministro è ancora più evidente: delle 9mila persone arrivate in Italia, solo 1.080 si trovano a bordo dalle quattro navi umanitarie in missione nel Mediterraneo. Stando ai dati pubblicati dal ministero dell’Interno, quindi, definire le imbarcazioni delle ong un fattore di attrazione non è corretto e anzi mette in secondo piano un dettaglio più interessante. Come si legge sempre sul sito del ministero, nei primi otto mesi del 2021 e del 2022 più del 50% degli sbarchi è avvenuto “non a seguito di eventi SAR”, ossia senza che l’imbarcazione venisse segnalata dalla Guardia Costiera. I report del ministero evidenziano anche come gli arrivi in Italia siano aumentati rispetto agli anni precedenti. Se nel 2020 si sono registrati 67.477 sbarchi, dopo i 34.154 del 2021 e gli 11.471 del 2019, al 31 ottobre del 2022 si parla già di 87.370.
Ma a colpire nei dati del Viminale è anche l’aumento delle partenze dalla Tunisia, rotta sempre più utilizzata non solo dagli stessi cittadini del Paese nordafricano, ma anche da chi proviene dall’area sub-sahariana, sempre meno propenso a passare per la Libia. Alla base di questo spostamento dei flussi da un Paese all’altro vi è principalmente l’instabilità del contesto libico, con le lotte intestine per il controllo del territorio che mettono a rischio anche il business delle partenze verso l’Europa.
Nel solo 2021 dalle coste tunisine sono arrivate in Italia circa 35mila persone, ma di queste solo 15mila erano cittadini del Paese. Gli atri 25mila erano invece sub-sahariani. “Le partenze dei tunisini sono aumentate dal 2020 a causa del Covid e della crisi economica che ne è seguita”, spiega Silvia Di Meo, ricercatrice dell’Università di Genova specializzata in migrazioni e processi culturali. “Con il tempo si è strutturata una rotta specifica che parte da Sfax, diventato punto di partenza principale e in cui si registra anche una maggior concentrazione di migranti sub-sahariani costituiti in comunità che organizzano le partenze da quella parte del Paese”.
A spingere tunisini e sub-sahariani verso le coste italiane è la mancanza di condizioni lavorative e socio-economiche che possano permettere loro di radicarsi nel territorio, ma per i primi la scelta di lasciare il proprio paese dipende anche dalla situazione politica. “Anche l’aggravarsi della repressione, il minore rispetto dei diritti umani e la svolta autoritaria imposta dal presidente Kais Saied spingono i tunisini a partire”, aggiunge Di Meo. “Il fattore principale però resta quello economico”.
Per capire la portata degli aumenti dei flussi provenienti dalla Tunisia però non basta guardare ai soli arrivi in Italia. “Con l’aumento delle partenze da Sfax e con il potenziamento delle autorità tunisine grazie ai finanziamenti dell’Ue e dell’Italia sono aumentate le intercettazioni in mare. Stiamo assistendo a un incremento delle partenze, ma sono sempre di più i blocchi e i respingimenti in mare”, specifica Di Meo. “Il modello tunisino sta assomigliando sempre di più a quello libico”.
Nonostante ciò, i viaggi dalla Tunisia all’Italia proseguono e la loro organizzazione segna anche una distinzione tra tunisini e sub-sahariani. Sfax resta il luogo da cui si registra il maggior numero di partenze, ma anche il nord del paese è un’area interessata sempre di più dal fenomeno migratorio. Da qui, però, partono solo i tunisini. “Le imbarcazioni si dirigono verso Pantelleria ma stanno aumentando gli arrivi nel porto di Cagliari”. Segno, quest’ultimo, di un cambiamento che non interessa solo i flussi di partenza, che denotano uno spostamento progressivo dalla Libia alla Tunisia, ma anche quelli di arrivo. E che non vedono coinvolte le tanto temute ong.