IL LATO OSCURO DEI MONDIALI – PUNTATA 3 – Rimet sognava un torneo che avrebbe “unito le nazioni, avvicinando i popoli e rendendo il mondo un solo grande paese”. Non è andata proprio così. Da Francia 1938 a Qatar 2022, la Coppa del Mondo è anche una storia di guerre, omicidi, imbrogli e regimi dittatoriali. Puntata dopo puntata, vi raccontiamo le storie emblematiche degli intrecci tra calcio e potere
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Il dittatore haitiano Francois “Papa Doc” Duvalier amava l’Italia per due motivi: il calcio e Benito Mussolini. Quest’ultimo era stato la sua fonte di ispirazione per la creazione di una milizia privata, i Tonton Macoute (nome derivante da un personaggio della mitologia creola haitiana, una sorta di uomo nero che spaventava i bambini), dalla struttura e dai metodi ricalcati su quelli dell’OVRA fascista, e che si rivelò cruciale tanto nella presa di potere di Duvalier, avvenuta mediante elezioni, quanto nel suo feroce e brutale consolidamento. Alla guida di un paese prevalentemente agricolo ma flagellato da frequenti carestie, con basso tasso di alfabetizzazione e dotato di strutture mediche primitive, Duvalier vide nel calcio – sport che apprezzava molto – l’elemento giusto da offrire in pasto alla popolazione e utile a garantire lunga vita al suo regime.
Per questo motivo dalla metà degli anni ’60 cominciò a investire denaro per creare una nazionale più competitiva possibile. Ad Haiti, e a Duvalier, mancava un eroe da mettere al centro della rinascita calcistica. In realtà un idolo nazionale c’era già stato, anche se aveva indossato la maglia degli Stati Uniti e non quello di Haiti. Si chiamava Larry “Joe” Gaetjens e fu uno dei primi re per una notte nella storia della coppa del mondo, protagonista assoluto del giant killing con cui gli Usa al Mondiale del 1950 eliminarono i maestri di calcio dell’Inghilterra, alla loro prima coppa del mondo dopo tre sdegnosi rifiuti. Il gol-partita lo segnò Gaetjens, studente di ragioneria haitiano che negli Stati Uniti si manteneva facendo il lavapiatti. Non possedeva nemmeno la cittadinanza americana, ma all’epoca per la United States Soccer Football Association era sufficiente aver presentato domanda di cittadinanza per poter giocare in nazionale.
Terminata la carriera calcistica, Gaetjens era tornato ad Haiti e aveva aperto una lavanderia a secco. Era uno dei personaggi più noti di tutta l’isola. Gaetjens non si era mai interessato di politica, ambito invece molto frequentato dal fratello Gerard, che nelle elezioni del 1961, quelle vinte da Duvalier con ampio ricorso a corruzione e intimidazioni, si era pubblicamente schierato dalla parte dello sfidante Louis Dejoie. Due anni dopo Joe Gaetjens fu prelevato fuori dalla sua lavanderia da due Tonton Macoute e caricato su un’auto. Di lui non si ebbero più notizie. Nemmeno l’intervento di Pelè nel 1971, quando con i suoi New York Cosmos organizzò allo Yankee Stadium un incontro di beneficenza per raccogliere fondi per la famiglia di Gaetjens (la moglie e i tre figli), ottenne riscontri da Haiti. L’ex idolo rimase uno dei tanti desaparecidos, o disparus come dicevano sull’isola. Stando ai racconti di alcuni ex detenuti una volta caduto il regime, fu ucciso nel carcere di Fort Dimance a Port-au-Prince dopo anni di detenzione.
Negli anni ’70 la nazionale di Haiti era cresciuta notevolmente, tanto da sfiorare la qualificazione al Mondiale messicano del 1970 e da vincere, tre anni dopo, il suo primo campionato del CONCACAF. Ma nel frattempo Duvalier era morto, lasciando il potere (diventato ereditario dopo che Papa Doc era stato nominato Presidente a vita di Haiti) nelle mani del figlio 19enne Jean-Claude “Baby Doc”, amante della bella vita, delle donne e dei motori. Non per questo però dimenticò il calcio, incrementando ulteriormente il flusso di denaro destinato al pallone. Rinnovò completamente il Sylvio Cator Stadium, per un costo complessivo di un milione di dollari, e costruì un nuovo centro sportivo.
Infine si rivolse all’Italia per completare l’ingresso del calcio haitiano nell’elite continentale, chiedendo alla Figc un allenatore interessato a lavorare sull’isola. Fu scelto il triestino Ettore Trevisan. “Un emissario della Farnesina”, ricorderà il tecnico anni dopo, “mi convocò a Roma ventilandomi la proposta. Mi disse che era una missione di carattere quasi sociale. Tergiversai un paio di mesi e poi dissi di sì”. Trevisan qualificò Haiti al Mondiale del ’74, venendo silurato poco tempo prima dell’inizio del torneo per far posto al suo vice, Antoine Tassy, storico c.t. della nazionale. “I politici”, disse il tecnico, “decisero di sfruttare privatamente, sul piano propagandistico, quel trionfo, impedendomi di accompagnare la squadra in Europa e gestendo la spedizione mondiale in maniera autonoma”.
Trevisan raccontò di aver vissuto a Port-au-Prince in una specie di bolla, lontano dalla morsa di violenza e terrore con la quale il regime stritolava l’isola. Anche i giocatori (“alcuni come Sanon, Vorbe e Francillon erano dei potenziali fuoriclasse”, secondo Trevisan) erano dei privilegiati, scampati a una vita nei campi o a una paga misera in città. Emmanuel Sanon, l’altro re per un notte del calcio haitiano (segnò gli unici due gol nella storia di Haiti in un Mondiale), disse che per i giocatori Duvalier era come un padre.
Almeno fino a quando, in Germania Ovest, non videro con i loro occhi l’altra faccia del regime. Haiti perse 3-1 il primo incontro del Mondiale contro l’Italia dopo essere passato in vantaggio con Sanon, che interruppe dopo 1.142 minuti il record di imbattibilità di Dino Zoff. A fine partita Baby Doc telefonò ai giocatori per congratularsi. Ma l’armonia durò poco. All’antidoping post-gara il centrocampista Ernst Jean-Joseph risultò positivo a uno stimolante e fu squalificato. Parlò di pillole per l’asma, venendo smentito dal medico della nazionale. Due ufficiali haitiani irruppero al Grunwald Sports Centre e lo picchiarono brutalmente davanti ai giocatori e alla stampa, quindi lo trascinarono in auto e lo misero su un aereo diretto in patria. “Negli occhi di quelle persone vidi un odio a me prima sconosciuto”, ricorderà il difensore Fritz Plantin, “la squadra era terrorizzata. Nessuno dormì quella notte”.
Haiti perse contro la Polonia 7-0 ma, sempre secondo Plantin, i polacchi furono gentili nel non calcare la mano contro una squadra allo sbando, talmente turbata che il giorno dopo Baby Doc fece chiamare i giocatori da Jean-Joseph per rassicurarli che stava bene. Perso anche il terzo incontro in maniera più contenuta (1-4 contro l’Argentina), i giocatori haitiani tornarono in patria accolti come eroi. Qualcuno riuscirà a costruirsi, seppur a fatica, una dignitosa carriera all’estero (Sanon giocherà in Belgio), molti emigreranno negli Stati Uniti finendo per lavorare come tassisti o come operai, altri moriranno in estrema povertà, di overdose o stroncati dall’Aids. Chi beneficerà più di tutti dell’avventura mondiale fu però Baby Doc Duvalier, che governerà ben altri dodici anni, accumulando enormi ricchezze in un paese sempre più allo stremo, prima di essere costretto alla fuga da una rivolta popolare.