Da una parte Alfredo Morvillo, magistrato, fratello della pm Francesca Morvillo e quindi cognato di Giovanni Falcone, entrambi morti nella strage di Capaci. Dall’altra Salvatore Borsellino, il fratello di Paolo, ucciso nell’attentato di via D’Amelio. La protesta dei fratelli delle vittime simbolo della lotta alla mafia si leva nel giorno in cui si chiudono le commemorazioni delle stragi del 1992. Morvillo ha annunciato che non andrà alla cerimonia conclusiva, in programma nell’aula bunker dell’Ucciardone a Palermo: “In una giornata dedicata solennemente a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino – dice – non si può accettare di condividere questo momento con personaggi, inevitabilmente invitati, che non hanno nulla a che fare con i nostri amatissimi indimenticabili giudici” e che “dall’alto delle loro responsabilità istituzionali, non tralasciano di mandare alla cittadinanza messaggi di pacifica convivenza con ambienti notoriamente in odore di mafia, riconoscendo a soggetti, che hanno stretto accordi con la mafia, piena legittimazione etica e sociale, così calpestando il ricordo di chi per la lotta alla mafia ha dato la vita”. Borsellino ha messo il carico, confermando non solo di condividere le parole di Morvillo ma accusando “personaggi che, nonostante non siano dei mafiosi, non hanno mai apertamente preso le distanze, dissociandosi, dall’appoggio che figure, dichiaratamente in odor di mafia o addirittura condannate per mafia, hanno manifestato loro durante la recente campagna elettorale. Questi personaggi non saranno sicuramente graditi alle commemorazioni del 19 luglio per Paolo in via d’Amelio. Lo dico sin da adesso. Mi riferisco al sindaco di Palermo e al presidente della Regione siciliana”, cioè Roberto Lagalla e Renato Schifani.

La cerimonia conclusiva delle commemorazioni del trentennale dalle stragi di mafia è in programma nell’aula bunker dell’Ucciardone a Palermo organizzata dall’Associazione nazionale magistrati, dalla Fondazione Progetto Legalità e dalla Fondazione Vittorio Occorsio. Alle commemorazioni parteciperanno tra gli altri il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e i ministri dell’Interno e della Giustizia Matteo Piantedosi e Carlo Nordio. L’aula bunker dove si celebrò il famoso maxi processo sarà intitolata ai magistrati morti nelle stragi di mafia del 1992. Morvillo era intervenuto già all’inizio delle commemorazioni, il 23 maggio. “C’è una Palermo che gli strizza l’occhio dimenticando cosa rappresenta”, ossia “una persona che è stata condannata per un reato di favoreggiamento alla mafia“, aveva detto riferendosi a Totò Cuffaro. Secondo Morvillo, “lui (Cuffaro, ndr) ha diritto di fare quello che vuole”, sono gli altri che, sapendo della sua condanna “continuano a cercarlo”, in una città “in cui in questi giorni si parla di gente che ha sacrificato la vita per contrastare quegli ambienti e quel signore lì è stato condannato per averli favoriti”. In quella stessa occasione anche dalla Fondazione Falcone avevano specificato che nessuno dei candidati alle Comunali sarebbe stato invitato alla cerimonia inaugurale.

Così si erano aperte le celebrazioni dei trent’anni, che precedevano, di poco, le Comunali di Palermo, vinte poi da Roberto Lagalla, il candidato appoggiato da Totò Cuffaro e Marcello Dell’Utri e che infine decise di non partecipare alla commemorazione del 23 maggio, da candidato, mentre da sindaco ha preso parte a quella per la strage di Via D’Amelio, il 19 luglio. Poco dopo il centrodestra avrebbe schierato Renato Schifani, come candidato alla presidenza della Regione, appoggiato anche dalla lista della Nuova Dc di Cuffaro. Schifani, adesso presidente della Sicilia, era stato invece indagato per “relazioni con personaggi inseriti nell’ambiente mafioso o vicini a detto ambiente nel periodo in cui lo Schifani era attivamente impegnato nella sua attività di legale civilista ed esperto in diritto amministrativo”. Indagine archiviata perché quelle relazioni “non assumono un livello probatorio minimo – così scrisse il giudice – per sostenere un’accusa in giudizio”.

Salvatore Borsellino prosegue e integra il ragionamento di Morvillo in un’intervista all’AdnKronos: “Da questi personaggi arriva un messaggio, quello che con la mafia è possibile convivere. Un messaggio devastante che io non accetto e che nessuno dovrebbe accettare”. Il fondatore delle Agende rosse non nasconde la propria amarezza: “Siamo tornati a trent’anni fa, a una stagione che pensavamo definitivamente archiviata”. Il ritorno di Cuffaro alla politica attiva “mi ha profondamente colpito. In negativo”. “Io riconosco il diritto di Cuffaro, una volta scontata la sua pena, a condurre la propria vita. Dal mio punto di vista e da quello dei familiari delle vittime di mafia, però, vedere certi personaggi tornare in auge in politica è una cosa che addolora. Un’offesa“. Anche la vittoria alle scorse regionali dell’ex presidente del Senato, Renato Schifani, ha per il fratello di Borsellino un sapore amaro. “Quando decisi di tornare in via d’Amelio, dopo anni passati in ‘disparte’, fu proprio per impedire a Schifani di deporre la sua corona d’alloro in via d’Amelio, per dirgli ‘la porti altrove, magari sulla tomba di Mangano‘. Poi la presenza di mia cognata che aveva nei confronti delle Istituzioni un atteggiamento diverso, mi dissuase. Le Agende rosse sono nate anche per questo: per impedire che certi personaggi potessero portare simboli di morte nel luogo di una strage di Stato”. Per lui quella data, 19 luglio 1992, è stata anche “l’inizio del mio riscatto, del mio impegno civile perché sino ad allora pensavo che bastasse essere una persona perbene, rispettare le leggi. Invece nel luglio del 1992 ho capito che occorreva impegnarsi in prima persona, fare nel proprio piccolo la propria parte come diceva sempre Paolo. Oggi, però, vivo il periodo peggiore della mia vita. Mai avrei pensato che saremmo tornati indietro di 30 anni”.

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