Dopo l'annessione, funzionari e propagandisti hanno spesso promesso che "la Russia è qui per sempre". E invece dopo 40 giorni Shoigu ha ordinato di lasciare la città. E mentre in tv si parla della ricostruzione di Mariupol, anche i signori della guerra come Prigozhin, Rogozin e Kadyrov hanno sostenuto la scelta. Ma dai corrispondenti di guerra e nei canali Telegram "patriottici" piovono critiche: "Un tradimento. Perdiamo nostri territori"
Il 9 novembre, il generale Sergei Surovikin, comandante del gruppo congiunto delle truppe russe, e il ministro della Difesa Sergei Shoigu sono pubblicamente arrivati alla conclusione che era tempo per l’esercito russo di lasciare Kherson. La città era l’unico centro regionale ucraino occupato durante questa guerra. Fu conquistata all’inizio di marzo e all’inizio di ottobre la Russia ha annesso ufficialmente Kherson insieme ad altre regioni occupate dell’Ucraina. Da allora, funzionari e propagandisti russi hanno spesso promesso che “la Russia è qui per sempre”, ma già nella seconda metà di ottobre le autorità locali hanno suggerito l’evacuazione dei residenti verso la riva sinistra del fiume Dnepr. Ora l’esercito russo ha lasciato la città, che è rimasta nella Federazione Russa per soli 40 giorni, e giustamente il giornalista dell’opposizione Ilya Krasilshchik pone la domanda: “Continuo a non capire. Dov’è la Russia per sempre?”. “Che avrebbero dovuto rinunciare a Kherson è diventato chiaro quando gli americani hanno deciso di fornire all’Ucraina gli Himars”, dice il politologo russo Vladimir Pastukhov. Secondo lui, c’erano solo due vie per uscire da Kherson: “Avanti o indietro”. Non c’erano abbastanza forze e risorse per l’offensiva, il che significa che non restava che cedere la città.
La preparazione della propaganda – Secondo Alexei Venediktov, ex caporedattore della stazione radio Eco di Mosca, per la prima volta i militari hanno sollevato la questione di lasciare Kherson con Vladimir Putin all’inizio di settembre. Avvertivano che la città non poteva essere tenuta, ma il presidente si rendeva conto che sarebbe stata una grave sconfitta morale e politica, e quindi ha deciso di ritirarsi solo nel momento in cui non era ormai più possibile rinviare e spostando pubblicamente la responsabilità di questa mossa a Shoigu. Il fatto che nel destino di Kherson siano possibili delle “decisioni difficili”, è stato annunciato già a metà ottobre da Surovikin, che preparava il campo informativo per le notizie sul ritiro. Secondo il media di opposizione Meduza, all’inizio di novembre il Cremlino ha incaricato i propagandisti di preparare ulteriormente l’opinione pubblica: raccontare che ora il fronte di Kherson è quello più difficile e, soprattutto, che le autorità stanno cercando di salvare la vita dei civili e dei militari, con quest’ultimi che in città erano circa 30mila. Secondo gli strateghi politici, a causa della recente traumatica esperienza di mobilitazione, il tema del salvataggio della vita dei militari dovrebbe entrare in sintonia con la maggior parte della popolazione. Il 10 novembre, il Ministero della Difesa della Federazione Russa ha riferito del ritiro delle truppe, definendolo una “manovra verso posizioni preparate”. All’interno del Paese, la propaganda ha iniziato immediatamente a elaborare le tesi sul salvataggio della vita e a cercare di minimizzare le conseguenze di quanto era accaduto. Il segretario del Consiglio generale del partito Russia Unita Andrei Turchak, l’uomo de “la Russia è qui per sempre”, ha ricordato che vicino a Kherson i soldati “erano esposti a un enorme rischio” e che “l’obiettivo principale della manovra odierna è proteggere la popolazione risparmiando il più possibile il personale”.
I “signori della guerra” difendono la scelta – Anche “signori della guerra” come Yevgeny Prigozhin, Dmitry Rogozin e Ramzan Kadyrov hanno sostenuto il generale Surovikin, che “ha fatto una scelta difficile ma giusta, tra sacrifici inutili per il bene di dichiarazioni rumorose e salvare vite inestimabili di soldati” e “ha preso una una posizione strategica più vantaggiosa”. In generale, la reazione delle autorità è stata molto pacata e si è ridotta a un’ammissione di sconfitta, senza calcare la mano con la critica. Dopotutto, questa non è l’unica capitale della regione occupata fuori dal controllo russo, e la città di Genichesk è già stata nominata capitale amministrativa della regione “russa” di Kherson. La televisione di Stato ha mostrato il video ufficiale del Ministero della Difesa con Surovikin e Shoigu, ma per il resto né i telegiornali né il talk show si sono ‘accorti’ della ritirata. Invece, tutti i canali federali hanno mostrato notizie sulla ricostruzione di Mariupol. Ria Novosti ha pubblicato un articolo che ha cercato di rispondere alla storica domanda russa: “Che cos’è: stupidità o tradimento?”. L’autore dell’articolo è giunto alla conclusione che “non c’è tradimento e non può esserci, ma il tradimento è un tentativo di accendere la sfiducia nei confronti di coloro che mirano solo a vincere”. Su Telegram i propagandisti sono stati più prolissi: giornalisti dei canali federali e alcuni corrispondenti militari hanno giustificato il ritiro sulla riva sinistra del Dnepr con “necessità militare” e “meno spargimento di sangue” e hanno consigliato di “smetterla di drammatizzare”. In generale, i commentatori filorussi, prevedibilmente, hanno concordato sul fatto che la decisione di lasciare la città fosse quella giusta e abbia permesso di salvare un gran numero di vite del personale militare. Margarita Simonyan, ad esempio, ha paragonato la perdita di Kherson alla resa di Mosca a Napoleone nel 1812.
Ma i patriottici si sfogano nelle chat – Allo stesso tempo, i canali Telegram “patriottici”, in cui il Ministero della Difesa viene spesso criticato, hanno chiamato ancora una volta ciò che è accaduto un tradimento e hanno affermato che la città non doveva essere ceduta senza combattere. “Agli occhi della popolazione questa è una sconfitta. Questa è la perdita di territori che la Federazione Russa ha riconosciuto come propri”, scrive il popolare canale telegram Rybar, nominando tra i motivi “l’impotenza politica e militare, generata dalla fede nella propria esclusività, infallibilità e invulnerabilità”. “Per almeno i prossimi due giorni, dovremo leggere, ascoltare e osservare come il tradimento intorno a Kherson sarà giustificato e smussato con le affermazioni che non si poteva fare nulla. Si poteva”, si indignano i corrispondenti di guerra. Sergei Markov, politico e attivista russo, che partecipa regolarmente a talk show politici, va oltre e definisce la resa di Kherson “la più grande sconfitta geopolitica della Russia dal crollo dell’Urss”. Tuttavia, nonostante lo “shock, delusione e depressione” prevalenti tra i sostenitori della guerra, in generale, i blogger militari russi hanno commentato l’ultima “manovra” del ministero della Difesa con relativa moderazione. Probabilmente per il fatto che le autorità hanno minacciato di perseguire penalmente i “patrioti più arrabbiati”.
Un prologo della pace? – Alexander Dugin, a sua volta, ha affermato che “le autorità in Russia non possono più cedere nulla, il limite è stato esaurito” e ha ricordato che – poiché il sovrano supremo ha “pieni poteri in caso di successo, ma anche piena responsabilità in caso di fallimento” – il presidente potrebbe rischiare il destino del re della pioggia (che viene ucciso quando non piove). Salvo poi cancellare il post e sostanzialmente ritrattare. Putin stesso non ha commentato la situazione con Kherson. Come osserva Venediktov, chiaramente ha “altre priorità”. Poche ore prima dell’annuncio del ritiro da Kherson, la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha confermato che “la Russia è ancora aperta ai negoziati con l’Ucraina”. E diversi osservatori fanno notare che il ritiro da Kherson è, tra le altre cose, un segnale all’Occidente e un invito a negoziare. Tale punto di vista, ad esempio, spiegherebbe perché la resa di Kherson non sia stata seguita da azioni di ritorsione. “Se ora firmiamo anche la pace con l’Ucraina, sarà un succoso sputo sullo strato patriottico, nucleare della società russa”, prevede Rybar. Il politologo e tecnologo politico russo Stanislav Belkovsky ritiene che il Cremlino stia davvero “cercando di vendere la versione secondo cui la loro partenza da Kherson è un prologo ai negoziati”, ma allo stesso tempo non esclude che le autorità stessero aspettando le elezioni di midterm negli Stati Uniti per “non assecondare Biden” con la loro decisione e “contribuire al successo dei repubblicani”.
“Putin rischia di più la faccia a Kharkiv” – Ad ogni modo, gli analisti russi ritengono che la resa di Kherson avrà per Putin delle conseguenze reputazionali molto più gravi rispetto a ritirarsi nella regione di Kharkiv. Una smobilitazione da quest’ultima area certamente ridurrebbe la sua popolarità e potrebbe rafforzare la posizione, per esempio, di Prigozhin. Oggi l’Ucraina ha riconquistato quasi la metà dei territori occupati dalla Russia dall’inizio della guerra e non è ancora chiaro se le sue controffensive finiranno qui. Il politologo Abbas Gallyamov ha spiegato: “Annunciando il ritiro di Kherson, Shoigu ha affermato che per loro la vita e la salute dei militari sono sempre una priorità. Se questo è davvero il caso, ha senso che il ministro consideri la possibilità di ritirarsi dal resto dei territori ucraini ancora detenuti dall’esercito russo”. Allo stesso tempo, molti, compresi i commentatori fedeli al Cremlino, prestano attenzione al fatto che l’espressione pubblica di qualsiasi punto di vista su questo tema può violare la legge: le critiche al ritiro delle truppe possono essere considerate come “discredito” dell’esercito e il sostegno come “un invito alla violazione dell’integrità territoriale della Federazione Russa”. Entrambe le leggi sono state adottate recentemente ed entrambe implicano procedimenti penali. “Questo è ciò che accade quando per anni si approvano molte leggi folli e contraddittorie che puniscono i cittadini russi letteralmente per tutto”, riassume Kirill Martynov, caporedattore di Novaya Gazeta Europe.