di Luana Morgilli*

La ginnastica ritmica ha vissuto un vistoso incremento in termini di risultati, e nel numero di praticanti, a partire dal primo argento a squadre ad Atene 2004 fino ai recenti successi individuali internazionali di Sofia Raffaeli.

Tuttavia, recentemente, questo mondo è stato sconvolto dalle dichiarazioni di numerose ex-atlete. Sull’onda delle testimonianze delle ex-farfalle Anna Basta e Nina Corradini, il fenomeno di condivisione di esperienze dolorose, traumatiche e abusanti sul tema dell’alimentazione da parte dello staff tecnico si è espanso a macchia d’olio, coinvolgendo anche la ginnastica artistica nelle parole di campionesse come Vanessa Ferrari e Carlotta Ferlito.

La pratica della ginnastica non ha una valenza intrinsecamente negativa per le persone che la svolgono. Tuttavia, si tratta di uno sport che se praticato ad alti livelli richiede allenamento agonistico già dalla tenera età. Diversamente da altri sport, come il tennis o il calcio, nella ginnastica il passaggio all’agonismo e all’alto livello è estremamente precoce rispetto alle fasi di sviluppo: l’obiettivo di un mondiale o di un’Olimpiade è già all’orizzonte quando le atlete sono ancora in età adolescenziale.
Pertanto, l’allenamento nelle accademie e nei centri tecnici federali viene avviato quando le ginnaste sono ancora bambine. Una tale preparazione comporta l’allontanamento da casa e famiglia, lo studio da privatista, che preclude la frequenza di una vera e propria scuola, il sacrificio di tanti aspetti di svago, come feste e vacanze, e persino la rinuncia a spazi e occasioni di confronto e socializzazione con i pari al di fuori del contesto sportivo.

Si legge spesso che tutto ciò è una libera scelta di atlete e famiglie; che l’agonismo, per definizione, è una lotta spietata; che il sacrificio è insito in ogni sport portato ai massimi livelli. È senz’altro vero. Ma è anche vero che, in questo tipo di passaggio e di investimento, le atlete e le loro famiglie si affidano completamente allo staff che le prenderà in custodia. Ed è forse proprio sullo staff, e sulle competenze (non solo tecniche) che esso deve necessariamente avere, che è importante porre la nostra riflessione. Questo perché un tecnico sportivo che lavora con esseri umani, soprattutto in giovane età, non può non essere formato anche rispetto ad aspetti psicologici, pedagogici e relazionali insiti nel proprio lavoro. Non può sottovalutare che l’età del proprio atleta abbia un peso, che le stesse indicazioni possano essere date con modalità anche estremamente diverse e che il professionista che si occupa della preparazione di corpi (e menti) di atlete così giovani finisce giocoforza per rappresentare ai loro occhi un vero e proprio modello.

Spesso ci si chiede se questa serie di rivelazioni sul tema specifico dell’alimentazione fosse attesa o meno. La forte attenzione al peso corporeo è insita sia negli sport estetici (ginnastica, tuffi, ma anche nella danza) che negli sport che prevedono una categoria di peso (pugilato, arti marziali) e non solo, e non meraviglia molto gli addetti ai lavori. La cosa che colpisce di più non è solo il contenuto delle affermazioni riportate, ma la modalità inaccettabilmente violenta di questi messaggi.

La procura farà il suo corso e prenderà gli opportuni provvedimenti; ma quello che ci auguriamo è che il dolore e il coraggio di queste ragazze possa portare ad una rivoluzione nella composizione degli staff, sia in termini di inserimento di personale specializzato in tematiche quali psicologia e nutrizione che in termini di formazione dei tecnici rispetto a competenze trasversali. In quest’ottica è nato da qualche mese il progetto F.A.R.O. del nostro Ordine, che intende agevolare l’intercettazione precoce dei disturbi alimentari, fornendo formazione e strumenti utili a coloro che operano a contatto quotidiano con gli adolescenti, in particolare a scuola e in ambito sportivo.

Una tale rivoluzione culturale si pone l’importante e ambizioso obiettivo di prendersi cura del benessere e della salute della persona, anche al fine di permetterle di esprimersi al meglio delle potenzialità come atleta. Questa attenzione e questa cura saranno fondamentali nel limitare fenomeni quali la demotivazione e l’abbandono precoce di giovani talenti, oltre che nel prevenire diverse tipologie di disturbi mentali.

*psicologa e psicoterapeuta, coordinatrice del gruppo di lavoro Psicologia dello Sport e dell’esercizio fisico dell’Ordine Psicologi Lazio

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