IL LATO OSCURO DEI MONDIALI – PUNTATA 4 – Rimet sognava un torneo che avrebbe “unito le nazioni, avvicinando i popoli e rendendo il mondo un solo grande paese”. Non è andata proprio così. Da Francia 1938 a Qatar 2022, la Coppa del Mondo è anche una storia di guerre, omicidi, imbrogli e regimi dittatoriali. Puntata dopo puntata, vi raccontiamo le storie emblematiche degli intrecci tra calcio e potere
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Segreti e Bugie è un bel film dell’inglese Mike Leigh che nel 1966 vinse la Palma d’Oro al Festival di Cannes. Segreti e Bugie potrebbe essere un ottimo titolo anche per raccontare le trame messe in atto da governo e Federcalcio inglese trent’anni prima per impedire e, in seconda battuta, minimizzare la presenza della Corea del Nord al proprio mondiale casalingo. Una strategia a cavallo tra il boicottaggio e il mobbing emersa solo decine di anni dopo, in seguito alla caduta del divieto di accesso per alcuni documenti contenuti nell’archivio del Foreign Office britannico. I nordcoreani erano persone non gradite e, in attesa che levassero le tende (evento che, come noto, grazie all’Italia si sarebbe verificato più tardi del previsto), avrebbero dovuto essere tenuti lontani dalla festa il più possibile.
Durante le qualificazioni la Corea del Nord aveva beneficiato del contemporaneo ritiro di sedici nazionali africane e asiatiche, che protestavano contro la decisione della Fifa di creare un unico gruppo afro-asiatico-oceanico per giocarsi l’accesso a Inghilterra ’66. La Corea del Nord quindi disputò due sole partite, entrambe vinte contro l’Australia sul campo neutro di Phnom Pehn, in Cambogia. Il governo britannico però non intendeva assolutamente ospitare sul proprio suolo gli uomini guidati da Myung Rye Hun, dal momento che la Repubblica Popolare Democratica di Corea non era mai stata ufficialmente riconosciuta dall’Inghilterra, la quale era stata alleata – assieme a Stati Uniti e Australia – con i coreani del sud durante la sanguinosa guerra di Corea, terminata tredici anni prima senza la firma di alcun trattato di pace.
Venne così elaborato un piano su più livelli tra il ministero degli Esteri inglese, la FA (Football Association), il DES (il Dipartimento dell’Educazione e della Scienza) e l’ambasciata sudcoreana. Inizialmente il governo inglese scelse la soluzione più drastica: ai coreani sarebbero stati negati i visti d’ingresso. Un’ipotesi che la Fifa bocciò nettamente, minacciando il ministro dello sport inglese, il laburista Harold Wilson, di revocare all’Inghilterra l’organizzazione della coppa del mondo e di trasferirla altrove. Il rapido dietro-front del governo fece scattare il piano B, ovvero “minimizzare la presenza visiva della Corea del Nord, in maniera tale da evitare qualsiasi atto che potesse essere scambiato per un’accettazione diplomatica del suo regime comunista”.
Questo si tradusse nelle seguenti azioni: mancato invito dei rappresentanti dello stato asiatico al sorteggio del 6 gennaio a Londra, adducendo come giustificazione che gli inviti erano andati persi; istruzioni a funzionari e media di chiamare la squadra Corea del Nord e mai Repubblica Popolare Democratica di Corea, come invece disposto dalla Fifa; divieto di suonare gli inni nazionali all’inizio delle partite, con l’eccezione del match inaugurale e della finale. Venne inoltre cancellato il francobollo ufficiale dei Mondiali che riproduceva la bandiera della Corea del Nord, mentre non fu possibile impedire la diffusione delle bandiere negli stadi, dal momento che la FA le aveva già ordinate e pagate.
La nazionale coreana fu spedita il più lontano possibile da Wembley, precisamente nella città industriale di Middlesbrough, estremo nord dell’Inghilterra, e come campo di allenamento le venne assegnato un modesto impianto sportivo in prossimità di un complesso petrolchimico. Ignari delle trame del proprio governo, i tifosi inglesi simpatizzarono all’istante con i giocatori nordcoreani, fisicamente gracili e tecnicamente acerbi, ma rapidi e instancabili. La Corea del Nord divenne la squadra-mascotte del torneo tanto che, dopo essere stata surclassata all’esordio dall’Urss (0-3), quando riuscì a strappare un pareggio al Cile segnando a due minuti dalla fine, al termine della partita molti tifosi inglesi scesero sul campo abbracciando i giocatori, che vennero poi ricevuti dal sindaco di Middlesbrough per una vigorosa stretta di mano.
Poi arrivò l’Italia e i coreani entrarono nella storia. La rete dell’insegnante di ginnastica, nonché calciatore professionista (e non dentista come è stato per anni raccontato) Pak Doo Ik regalò ai nordcoreani un inaspettato passaggio del turno per la Corea del Nord e provocò sudori freddi nei piani alti del Foreign Office. Un’atmosfera divenuta ancora più glaciale quando, dopo 24 minuti del quarto di finale contro il Portogallo, gli asiatici conducevano 3-0. Poi entrò in partita Eusebio e i lusitani si imposero 5-3, facendo calare sulla Corea del Nord un sipario colmo di bugie. Si disse che al ritorno in patria i giocatori finirono in un gulag come punizione per una notte brava in terra inglese all’insegna di alcol e donne. Si disse che furono costretti a cibarsi di insetti e che morirono tutti di fame e stenti. Oggi le chiameremmo fake news, il cui proliferare fu favorito da un regime dittatoriale chiuso in un isolamento politico e economico dal quale, in termini di notizie, trapelava poco o nulla.
In realtà i giocatori furono trattati come degli eroi una volta rientrati a casa, con Pak Doo Ik diventato in seguito c.t. della nazionale nordcoreana. Nel 2002 due giornalisti inglesi girarono un documentario su quella nazionale, riuscendo anche a riportare per qualche giorno alcuni giocatori in Inghilterra, nei luoghi dove fecero l’impresa. “Tornammo in patria da vincitori”, dichiarò Pak Doo Ik, “e ci coprirono di medaglie. Qualcuno di noi ottenne anche delle posizioni di responsabilità e ancora oggi siamo ricordati come gli eroi del ’66. Sapevamo che gli inglesi avevano combattuto contro di noi nella guerra di Corea e non ci aspettavamo un’accoglienza così calorosa da parte della gente. Invece avevano le nostre bandiere e ci applaudivano in continuazione. Sono convinto che parte del merito del nostro grande mondiale vada assegnato al comportamento della gente di Middlesbrough”.
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Il piano inglese per sabotare la Corea del Nord. Che però non aveva considerato la gente di Middlesbrough (e l’Italia)
Per il Mondiale 1966 in casa Londra elaborò una vera e propria strategia per “minimizzare la presenza visiva" della nazionale del regime comunista. Ignari delle trame del proprio governo, i tifosi inglesi simpatizzarono all’istante con i giocatori nordcoreani. Poi arrivò la rete dell’insegnante di ginnastica (e non dentista come è stato per anni raccontato) Pak Doo Ik
IL LATO OSCURO DEI MONDIALI – PUNTATA 4 – Rimet sognava un torneo che avrebbe “unito le nazioni, avvicinando i popoli e rendendo il mondo un solo grande paese”. Non è andata proprio così. Da Francia 1938 a Qatar 2022, la Coppa del Mondo è anche una storia di guerre, omicidi, imbrogli e regimi dittatoriali. Puntata dopo puntata, vi raccontiamo le storie emblematiche degli intrecci tra calcio e potere
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Segreti e Bugie è un bel film dell’inglese Mike Leigh che nel 1966 vinse la Palma d’Oro al Festival di Cannes. Segreti e Bugie potrebbe essere un ottimo titolo anche per raccontare le trame messe in atto da governo e Federcalcio inglese trent’anni prima per impedire e, in seconda battuta, minimizzare la presenza della Corea del Nord al proprio mondiale casalingo. Una strategia a cavallo tra il boicottaggio e il mobbing emersa solo decine di anni dopo, in seguito alla caduta del divieto di accesso per alcuni documenti contenuti nell’archivio del Foreign Office britannico. I nordcoreani erano persone non gradite e, in attesa che levassero le tende (evento che, come noto, grazie all’Italia si sarebbe verificato più tardi del previsto), avrebbero dovuto essere tenuti lontani dalla festa il più possibile.
Durante le qualificazioni la Corea del Nord aveva beneficiato del contemporaneo ritiro di sedici nazionali africane e asiatiche, che protestavano contro la decisione della Fifa di creare un unico gruppo afro-asiatico-oceanico per giocarsi l’accesso a Inghilterra ’66. La Corea del Nord quindi disputò due sole partite, entrambe vinte contro l’Australia sul campo neutro di Phnom Pehn, in Cambogia. Il governo britannico però non intendeva assolutamente ospitare sul proprio suolo gli uomini guidati da Myung Rye Hun, dal momento che la Repubblica Popolare Democratica di Corea non era mai stata ufficialmente riconosciuta dall’Inghilterra, la quale era stata alleata – assieme a Stati Uniti e Australia – con i coreani del sud durante la sanguinosa guerra di Corea, terminata tredici anni prima senza la firma di alcun trattato di pace.
Venne così elaborato un piano su più livelli tra il ministero degli Esteri inglese, la FA (Football Association), il DES (il Dipartimento dell’Educazione e della Scienza) e l’ambasciata sudcoreana. Inizialmente il governo inglese scelse la soluzione più drastica: ai coreani sarebbero stati negati i visti d’ingresso. Un’ipotesi che la Fifa bocciò nettamente, minacciando il ministro dello sport inglese, il laburista Harold Wilson, di revocare all’Inghilterra l’organizzazione della coppa del mondo e di trasferirla altrove. Il rapido dietro-front del governo fece scattare il piano B, ovvero “minimizzare la presenza visiva della Corea del Nord, in maniera tale da evitare qualsiasi atto che potesse essere scambiato per un’accettazione diplomatica del suo regime comunista”.
Questo si tradusse nelle seguenti azioni: mancato invito dei rappresentanti dello stato asiatico al sorteggio del 6 gennaio a Londra, adducendo come giustificazione che gli inviti erano andati persi; istruzioni a funzionari e media di chiamare la squadra Corea del Nord e mai Repubblica Popolare Democratica di Corea, come invece disposto dalla Fifa; divieto di suonare gli inni nazionali all’inizio delle partite, con l’eccezione del match inaugurale e della finale. Venne inoltre cancellato il francobollo ufficiale dei Mondiali che riproduceva la bandiera della Corea del Nord, mentre non fu possibile impedire la diffusione delle bandiere negli stadi, dal momento che la FA le aveva già ordinate e pagate.
La nazionale coreana fu spedita il più lontano possibile da Wembley, precisamente nella città industriale di Middlesbrough, estremo nord dell’Inghilterra, e come campo di allenamento le venne assegnato un modesto impianto sportivo in prossimità di un complesso petrolchimico. Ignari delle trame del proprio governo, i tifosi inglesi simpatizzarono all’istante con i giocatori nordcoreani, fisicamente gracili e tecnicamente acerbi, ma rapidi e instancabili. La Corea del Nord divenne la squadra-mascotte del torneo tanto che, dopo essere stata surclassata all’esordio dall’Urss (0-3), quando riuscì a strappare un pareggio al Cile segnando a due minuti dalla fine, al termine della partita molti tifosi inglesi scesero sul campo abbracciando i giocatori, che vennero poi ricevuti dal sindaco di Middlesbrough per una vigorosa stretta di mano.
Poi arrivò l’Italia e i coreani entrarono nella storia. La rete dell’insegnante di ginnastica, nonché calciatore professionista (e non dentista come è stato per anni raccontato) Pak Doo Ik regalò ai nordcoreani un inaspettato passaggio del turno per la Corea del Nord e provocò sudori freddi nei piani alti del Foreign Office. Un’atmosfera divenuta ancora più glaciale quando, dopo 24 minuti del quarto di finale contro il Portogallo, gli asiatici conducevano 3-0. Poi entrò in partita Eusebio e i lusitani si imposero 5-3, facendo calare sulla Corea del Nord un sipario colmo di bugie. Si disse che al ritorno in patria i giocatori finirono in un gulag come punizione per una notte brava in terra inglese all’insegna di alcol e donne. Si disse che furono costretti a cibarsi di insetti e che morirono tutti di fame e stenti. Oggi le chiameremmo fake news, il cui proliferare fu favorito da un regime dittatoriale chiuso in un isolamento politico e economico dal quale, in termini di notizie, trapelava poco o nulla.
In realtà i giocatori furono trattati come degli eroi una volta rientrati a casa, con Pak Doo Ik diventato in seguito c.t. della nazionale nordcoreana. Nel 2002 due giornalisti inglesi girarono un documentario su quella nazionale, riuscendo anche a riportare per qualche giorno alcuni giocatori in Inghilterra, nei luoghi dove fecero l’impresa. “Tornammo in patria da vincitori”, dichiarò Pak Doo Ik, “e ci coprirono di medaglie. Qualcuno di noi ottenne anche delle posizioni di responsabilità e ancora oggi siamo ricordati come gli eroi del ’66. Sapevamo che gli inglesi avevano combattuto contro di noi nella guerra di Corea e non ci aspettavamo un’accoglienza così calorosa da parte della gente. Invece avevano le nostre bandiere e ci applaudivano in continuazione. Sono convinto che parte del merito del nostro grande mondiale vada assegnato al comportamento della gente di Middlesbrough”.
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(Adnkronos) - "Se spengo Starlink, l'Ucraina crolla". Elon Musk è allineato con Donald Trump e invoca lo stop immediato della guerra tra Ucraina e Russia. Il magnate, pilastro dell'amministrazione del nuovo presidente americano, dall'inizio del conflitto ha messo a disposizione di Kiev il sistema satellitare Starlink. Gli Usa, negli ultimi giorni, hanno sospeso l'invio di aiuti militari all'Ucraina e hanno fermato la condivisione di informazioni di intelligence. Se Musk disattivasse Starlink, per le forze di Kiev sarebbe un disastro.
"Io - scrive il magnate su X - ho letteralmente sfidato Putin ad un combattimento uno contro uno sull'Ucraina. Il mio sistema Starlink è la spina dorsale dell'esercito ucraino. Se lo spegnessi, l'intera linea del fronte crollerebbe".
Musk individua anche un'altra soluzione: "Bisogna imporre sanzioni ai 10 principali oligarchi ucraini, specialmente quelli che vivono a Monaco, e tutto questo cesserà immediamente. Questa è la chiave".
L'Ucraina usufruisce di migliaia di terminali Starlink. Una parte è fornita dalla Polonia, che ha sottoscritto un contratto con SpaceX, il colosso che gestisce Starlink. "Il servizio di Starlink per l'Ucraina, circa 50 milioni di dollari ogni anno, è pagato dal ministero polacco per la Digitalizzazione. Se SpaceX si dimostrasse un fornitore inaffidabile, dovremmo cercare altrove", le parole di Radoslaw Sikorski, ministro degli Esteri di Varsavia.
Le parole di Mr X arrivano in un momento cruciale del conflitto. Le forze russe stanno riconquistando territori nella regione di Kursk, che l'Ucraina ha invaso dall'agosto 2024. L'obiettivo di Vladimir Putin sembra essere una spallata finale, che consenta a Mosca di presentarsi all'eventuale tavolo delle trattative con un quadro estremamente favorevole. "Non faremo concessioni", ha detto il presidente russo in settimana: nella sua visione, tutto ciò che è stato conquistato non verrà riconsegnato a Kiev.
L'obiettivo di Musk, così come quello di Trump, è lo stop immediato alla guerra: "Mi disgustano anni di massacro in uno stallo che terminerà inevitabilmente con la sconfitta dell'Ucraina. Chiunque abbia realmente a cuore la situazione e chiunque comprenda quello che sta succedendo - aggiunge - vuole che il tritacarne si fermi. Pace ora".
Nella sequenza di messaggi pubblicati da Musk nelle ultime ore spicca anche un tweet sul tema della Nato. A chi suggerisce l'uscita degli Usa dall'Alleanza, il miliardario replica: "Dovremmo davvero. Non ha senso che l'America paghi per la difesa dell'Europa".
Anche in questo caso, c'è una totale consonanza con le posizioni del presidente Trump. Gli Usa, ha detto il leader della Casa Bianca, non hanno intenzione di difendere chi non paga. Nelle ultime ore, inoltre, secondo indiscrezioni di stampa ha preso forma il piano per un progressivo disimpegno americano rispetto al Vecchio Continente: con il 2025 si esaurirà la partecipazione a stelle e strisce a manovre in Europa.
San Marino, 9 mar. (Adnkronos) - La rinascita internazionale dell’italo dance riparte da San Marino, con un biglietto per l’Eurovision di Basilea. Gabry Ponte, favoritissimo della vigilia, si è aggiudicato la vittoria del San Marino Song Contest e salirà sul palco dell’edizione svizzera dell’Esc come rappresentante della repubblica del Titano, potendo dunque contare potenzialmente anche sul voto degli italiani (nessun paese può votare per il proprio candidato e l’Italia è stato sorteggiata anche tra i paesi che potranno votare per San Marino il prossimo 13 maggio nella prima semifinale). “Ricordati che ‘Tutta l’Italia’ potrà votare per te”, ha fatto notare il Segretario di Stato di San Marino, Federico Pedini Amati, rivolto al vincitore subito dopo la proclamazione. “Questa canzone – ha confessato Ponte - mi ha dimostrato per l'ennesima volta quello che già era successo con gli Eiffel 65 e ‘Blue’ 27 anni fa: che una canzone scritta in uno studio in poche ore può avere dei risvolti e un percorso pazzesco che uno non avrebbe mai immaginato. Adesso questa sfida di Basilea è molto eccitante e sono veramente contento”.
A incoronarlo vincitore, la giuria presieduta da Luca De Gennaro, che ha motivato il verdetto: “Abbiamo fatto un lavoro molto onesto con noi stessi con un obiettivo, quello di sapere qual era la destinazione finale, cioè l'Eurovision. Non abbiamo votato secondo i gusti personali. Se volete vedere le statistiche degli artisti italiani più ascoltati nel mondo Gabry Ponte è uno dei primi. E poi San Marino fa parte di quel territorio italiano che è sempre stata la culla della musica da ballare, l'Adriatico, le discoteche, Rimini e Riccione. Quindi è giusto che San Marino porti verso l'Europa questo tipo di musica”, sottolineato.
Gabry Ponte, 52 anni e da quasi 30 sulla breccia come dj e producer (con un certo numero di successi internazionali all’attivo), era comunque molto emozionato sabato sera, nel Teatro di Dogana di San Marino: “Sono 30 anni che faccio questo lavoro fantastico e credo che il giorno in cui salirò su un palco senza essere emozionato, sarà l'ultimo giorno in cui salirò su un palco”, ha detto subito dopo la vittoria, ottenuta con un brano, ‘Tutta l’Italia’, nato in vista del grande appuntamento live fissato per il 28 giugno a San Siro (che ora sulla scia dell’Eurovision potrebbe vedere aggiungersi almeno un’altra data, vocifera qualcuno). “La canzone è nata in studio insieme a due amici autori, molto talentuosi, che sono Edwin Roberts e Andrea Bonomo. Io a giugno farò il mio primo concerto a San Siro e ci siamo proprio visualizzati l'immagine di uno stadio pieno di tutta l'Italia, che salta e che balla questa musica dance. Siamo partiti da questa immagine e poi la canzone è nata in maniera abbastanza spontanea nel giro di due ore”, ha raccontato. Un brano dance contaminato con alcuni elementi folk della cultura italiana, dalla fisarmonica alla tarantella. “La musica definisce un po' la cultura e l'identità di un popolo, da sempre. Quindi mi piace molto contaminare la musica dance, che poi peraltro si presta tantissimo, più di qualsiasi altro genere musicale, a essere contaminata con il folklore. L'Italia ha una tradizione folkloristica enorme, quindi abbiamo preso questa volta un po' di pizzica, un po' di tarantella e ci siamo divertiti molto”, ha aggiunto.
Sul tipo di modifiche che potrebbe proporre per l’esibizione a Basilea, Ponte ha rimandato alle prossime settimane. “Per ora ci siamo concentrati prima su Sanremo e poi su San Marino, da domani ci mettiamo al lavoro sull’Eurovision per presentarci al meglio”, spiega. Ma una cosa è già certa: l’Ebu non chiederà modifiche al testo perché aveva già dato il suo via libera prima del San Marino Song Contest. “Abbiamo mandato tutti i testi all'Ebu – ha spiegato il direttore di Una Voce per San Marino, Denny Montesi - perché sappiamo che non ci devono essere citazioni politiche e religiose nei testi. Quindi avevamo sottoposto due dubbi: uno riguardava il fatto che il brano di Gabry citasse Craxi e ‘avanti popolo’, l’altro riguardava il brano di Giacomo Voli, che citava l’Ave Maria. L’Ebu ha risposto che entrambi i brani non infrangono il regolamento”, ha assicurato.
A chi gli ha fatto notare che, dopo le polemiche su ‘Espresso Macchiato’ dell’estone Tommy Cash, c’è chi ha detto che anche ‘Tutta l’Italia’ propone un ritratto non proprio edificante del Bel Paese, Ponte ha risposto: “Noi l'abbiamo fatto in maniera ironica. Ci siamo messi a immaginare una fotografia di questo paese, scherzando su alcuni cliché che nel bene e nel male rappresentano un po' l'Italia agli occhi, non solo degli italiani, ma anche di chi vive fuori dall'Italia”.
Sui due ‘cantanti mascherati’ (che poi sono i due coautori della canzone) che lo hanno accompagnato sul palco sia a Sanremo che a San Marino, Ponte ha spiegato: “Ci sono delle persone che fanno questo lavoro ma che non amano apparire. A me faceva piacere avere le persone con cui ho scritto il pezzo con me sul palco, ho chiesto loro se avessero voglia di prendere parte a questa avventura, però allo stesso tempo rispetto la loro volontà e quindi abbiamo deciso tutti insieme che la soluzione poteva essere quella di avere dei cantanti mascherati che non devono mostrare la faccia ma possono cantare il pezzo che hanno contribuito a scrivere”.
All’Eurovision Gabry Ponte si troverà in qualche modo anche a sfidare Lucio Corsi, che rappresenterà l’Italia a Basilea: “Lucio Corsi non lo conosco personalmente ma ho grande stima di lui. E sono sinceramente contento che sia andato lui all'Eurovision a rappresentare l'Italia perché parlavamo prima della musica come rappresentazione dell'identità di un popolo e una delle tradizioni più forti della musica italiana è proprio il cantautorato. E poi il pezzo di Lucio era uno dei miei pezzi preferiti di Sanremo”, ha detto. Che poi ha spiegato perché ‘Tutta l’Italia’ non era in gara a Sanremo: “Il regolamento di Sanremo prevede che ogni artista che partecipa in gara debba cantare. Io sono un DJ, non canto. Abbiamo ragionato con Carlo su diverse possibilità per avere il pezzo in gara, ma non siamo riusciti a trovare una quadra che soddisfacesse il regolamento del festival e noi che abbiamo scritto la canzone” (l’unico altro artista in gara non cantante, Shablo, ha dovuto infatti presentarsi dichiarando i due feat di Joshua e Tormento, ndr.). “Poi Conti ha avuto quest'idea di farlo diventare la sigla e per me è stato un grande onore”, ha aggiunto Ponte che ha voluto dedicare la vittoria di San Marino a tutti i suoi fan. “Devo tutto a loro”, ha detto prima di ammettere che l’Eurovision non era mai stato prima nei suoi pensieri: “E’ arrivato in maniera naturale, abbastanza inaspettata, se devo essere sincero. La cosa bella della musica, per cui io continuo a essere innamorato di quello che faccio, è che è tutto sempre imprevedibile”. (di Antonella Nesi)
(Adnkronos) - Tritacarne in regalo alle madri di soldati russi caduti in Ucraina in occasione della Festa della Donna. Polemica e choc in Russia per l'iniziativa di una sezione locale del partito al governo di Vladimir Putin, Russia Unita. A Polyarniye Zori, nella regione di Murmansk, funzionari sorridenti del partito sono stati riprese mentre, sorridenti, consegnano fiori e tritacarne, parola ampiamente utilizzata per descrivere le brutali tattiche della Russia in prima linea. Il messaggio di accompagnamento ringraziava le "care mamme" per la loro "forza d'animo e l'amore che mettono nell'educazione dei loro figli".
Immediate le reazioni online che hanno definito il gesto "vergognoso" e "inappropriato", soprattutto considerando la connotazione negativa del tritacarne. La parola russa per il tritacarne, myasorubka, ha lo stesso doppio significato dell'inglese. Si riferisce a una tattica che comporta pesanti perdite, in cui piccoli gruppi di soldati vengono inviati in attacco, uno dopo l'altro, in ondate, rischiando pesanti perdite, con l'obiettivo di logorare e sopraffare le truppe ucraine.
La sezione locale del partito a Polyarniye Zori ha respinto le critiche, definendole "interpretazioni crudeli e provocatorie". Il sindaco Maxim Chengayev, presente alla consegna dei doni, ha dichiarato che i tritacarne non erano previsti inizialmente, ma che "una donna li ha richiesti, e ovviamente non abbiamo potuto dire di no", secondo quanto affermato da Russia Unita. Successivamente, il partito ha pubblicato un video in cui una madre ringraziava goffamente per i regali, confermando di aver richiesto personalmente un tritacarne per necessità.
Le perdite russe in Ucraina rimangono ufficialmente non quantificate, sebbene i media indipendenti parlino di molte decine di migliaia di morti. Il sito web russo Mediazona e il servizio russo della Bbc hanno dichiarato il mese scorso di aver identificato i nomi di 91.000 soldati russi uccisi, ma ha aggiunto che il bilancio effettivo sarebbe probabilmente “notevolmente più alto”. Alla fine del 2024, l’allora segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin, ha parlato di 700.000 soldati russi uccisi o feriti.
Anche le perdite ucraine sono ingenti. A febbraio, il presidente Volodymyr Zelenskyy ha dichiarato che più di 46.000 soldati ucraini sono stati uccisi e circa 380.000 feriti. I resoconti dei media basati su fonti occidentali hanno dato a temperature delle vittime militari ucraine stimate che vanno da 50.000 a 100.000.
(Adnkronos) - "Se spengo Starlink, l'Ucraina crolla". Elon Musk è allineato con Donald Trump e invoca lo stop immediato della guerra tra Ucraina e Russia. Il magnate, pilastro dell'amministrazione del nuovo presidente americano, dall'inizio del conflitto ha messo a disposizione di Kiev il sistema satellitare Starlink. Gli Usa, negli ultimi giorni, hanno sospeso l'invio di aiuti militari all'Ucraina e hanno fermato la condivisione di informazioni di intelligence. Se Musk disattivasse Starlink, per le forze di Kiev sarebbe un disastro.
"Io - scrive il magnate su X - ho letteralmente sfidato Putin ad un combattimento uno contro uno sull'Ucraina. Il mio sistema Starlink è la spina dorsale dell'esercito ucraino. Se lo spegnessi, l'intera linea del fronte crollerebbe".
Musk individua anche un'altra soluzione: "Bisogna imporre sanzioni ai 10 principali oligarchi ucraini, specialmente quelli che vivono a Monaco, e tutto questo cesserà immediamente. Questa è la chiave".
Le parole di Mr X arrivano in un momento cruciale del conflitto. Le forze russe stanno riconquistando territori nella regione di Kursk, che l'Ucraina ha invaso dall'agosto 2024. L'obiettivo di Vladimir Putin sembra essere una spallata finale, che consenta a Mosca di presentarsi all'eventuale tavolo delle trattative con un quadro estremamente favorevole. "Non faremo concessioni", ha detto il presidente russo in settimana: nella sua visione, tutto ciò che è stato conquistato non verrà riconsegnato a Kiev.
L'obiettivo di Musk, così come quello di Trump, è lo stop immediato alla guerra: "Mi disgustano anni di massacro in uno stallo che terminerà inevitabilmente con la sconfitta dell'Ucraina. Chiunque abbia realmente a cuore la situazione e chiunque comprenda quello che sta succedendo - aggiunge - vuole che il tritacarne si fermi. Pace ora".
Nella sequenza di messaggi pubblicati da Musk nelle ultime ore spicca anche un tweet sul tema della Nato. A chi suggerisce l'uscita degli Usa dall'Alleanza, il miliardario replica: "Dovremmo davvero. Non ha senso che l'America paghi per la difesa dell'Europa".
Anche in questo caso, c'è una totale consonanza con le posizioni del presidente Trump. Gli Usa, ha detto il leader della Casa Bianca, non hanno intenzione di difendere chi non paga. Nelle ultime ore, inoltre, secondo indiscrezioni di stampa ha preso forma il piano per un progressivo disimpegno americano rispetto al Vecchio Continente: con il 2025 si esaurirà la partecipazione a stelle e strisce a manovre in Europa.
(Adnkronos) - E' stato stroncato da un infarto che lo ha colto nella sua abitazione Carmine Gallo, il super poliziotto protagonista per anni della lotta alla criminalità organizzata a Milano e di recente coinvolto nell’inchiesta Equalize sui presunti dossieraggi illeciti. Aveva 66 anni.
Palermo, 9 mar. (Adnkronos) - "Il nostro governo ha scelto di realizzare i termovalorizzatori con risorse pubbliche, stanziando 800 milioni di euro attraverso il Fondo per lo sviluppo e la coesione (Fsc). Questo per evitare che il costo di ammortamento potesse ricadere sui cittadini attraverso tariffe esorbitanti. Noi vogliamo evitare questo errore e garantire un sistema sostenibile dal punto di vista economico, ambientale e sociale. Non solo". Così, in un intervento sul Giornale di Sicilia il Presidente della Regione siciliana Renato Schifani. "I termovalorizzatori rappresentano una grande opportunità anche per il nostro sistema energetico- dice -In un periodo storico in cui i costi dell’energia sono sempre più elevati e la transizione ecologica è una priorità globale, trasformare i rifiuti in energia significa rendere la Sicilia più autonoma, ridurre la dipendenza da fonti fossili e creare un sistema. Il nostro cronoprogramma: entro questo marzo/aprile bando per progettazione; entro settembre 2026 inizio lavori (durata diciotto mesi). La Sicilia non può più permettersi di rimanere prigioniera dell’emergenza, della precarietà, dell’inerzia. È il momento di agire con coraggio e senso del dovere".
"Chi si oppone abbia almeno l’onestà di dire chiaramente perché e di assumersi la responsabilità di condannare questa terra al degrado e all’inefficienza- dice Schifani - Non possiamo accettare che il futuro della Sicilia venga bloccato da interessi di parte, da vecchie logiche a volte ambigue. Non possiamo più tollerare un sistema che penalizza i cittadini, le imprese e l’ambiente. La nostra Regione merita di voltare pagina. Merita un futuro fatto di pulizia, decoro e sostenibilità. Noi andremo avanti, con determinazione e con la convinzione che questa sia l’unica strada possibile. Anche se in salita. In tutti i sensi. Perché la Sicilia merita di più".
Palermo,9 mar. (Adnkronos) - "Perché, dopo vent’anni di dibattiti e promesse mancate, ancora oggi qualcuno si oppone alla realizzazione di impianti di termovalorizzazione? L’esperienza europea dimostra che questi impianti sono una soluzione efficiente e sicura per chiudere il ciclo dei rifiuti, trasformando ciò che non può essere riciclato in energia pulita. Eppure, in Sicilia si è continuato a rinviare, mentre le discariche si riempiono e i cittadini pagano bollette sempre più alte per smaltire i rifiuti altrove. È davvero un problema di tutela ambientale? No, perché i moderni termovalorizzatori sono progettati per garantire emissioni praticamente nulle, rispettando i più severi standard europei". Così il Presidente della Regione siciliana, Renato Schifani, in un intervento sul Giornale di Sicilia. "Parlare di inquinamento è oggi fuori luogo: in molte città del Nord Italia, in Europa e nel mondo, questi impianti convivono con i centri abitati senza alcun impatto sulla qualità dell’aria", dice.
"Forse si vuole difendere il business delle discariche? È un dubbio legittimo. Il sistema attuale, infatti, ha spesso alimentato interessi economici poco trasparenti, in alcuni casi perfino legati alla criminalità organizzata. E di questo ho parlato in occasione della mia audizione alla Commissione parlamentare di inchiesta sulle ecomafie", conclude Schifani.