IL LATO OSCURO DEI MONDIALI – PUNTATA 4 – Rimet sognava un torneo che avrebbe “unito le nazioni, avvicinando i popoli e rendendo il mondo un solo grande paese”. Non è andata proprio così. Da Francia 1938 a Qatar 2022, la Coppa del Mondo è anche una storia di guerre, omicidi, imbrogli e regimi dittatoriali. Puntata dopo puntata, vi raccontiamo le storie emblematiche degli intrecci tra calcio e potere
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Segreti e Bugie è un bel film dell’inglese Mike Leigh che nel 1966 vinse la Palma d’Oro al Festival di Cannes. Segreti e Bugie potrebbe essere un ottimo titolo anche per raccontare le trame messe in atto da governo e Federcalcio inglese trent’anni prima per impedire e, in seconda battuta, minimizzare la presenza della Corea del Nord al proprio mondiale casalingo. Una strategia a cavallo tra il boicottaggio e il mobbing emersa solo decine di anni dopo, in seguito alla caduta del divieto di accesso per alcuni documenti contenuti nell’archivio del Foreign Office britannico. I nordcoreani erano persone non gradite e, in attesa che levassero le tende (evento che, come noto, grazie all’Italia si sarebbe verificato più tardi del previsto), avrebbero dovuto essere tenuti lontani dalla festa il più possibile.
Durante le qualificazioni la Corea del Nord aveva beneficiato del contemporaneo ritiro di sedici nazionali africane e asiatiche, che protestavano contro la decisione della Fifa di creare un unico gruppo afro-asiatico-oceanico per giocarsi l’accesso a Inghilterra ’66. La Corea del Nord quindi disputò due sole partite, entrambe vinte contro l’Australia sul campo neutro di Phnom Pehn, in Cambogia. Il governo britannico però non intendeva assolutamente ospitare sul proprio suolo gli uomini guidati da Myung Rye Hun, dal momento che la Repubblica Popolare Democratica di Corea non era mai stata ufficialmente riconosciuta dall’Inghilterra, la quale era stata alleata – assieme a Stati Uniti e Australia – con i coreani del sud durante la sanguinosa guerra di Corea, terminata tredici anni prima senza la firma di alcun trattato di pace.
Venne così elaborato un piano su più livelli tra il ministero degli Esteri inglese, la FA (Football Association), il DES (il Dipartimento dell’Educazione e della Scienza) e l’ambasciata sudcoreana. Inizialmente il governo inglese scelse la soluzione più drastica: ai coreani sarebbero stati negati i visti d’ingresso. Un’ipotesi che la Fifa bocciò nettamente, minacciando il ministro dello sport inglese, il laburista Harold Wilson, di revocare all’Inghilterra l’organizzazione della coppa del mondo e di trasferirla altrove. Il rapido dietro-front del governo fece scattare il piano B, ovvero “minimizzare la presenza visiva della Corea del Nord, in maniera tale da evitare qualsiasi atto che potesse essere scambiato per un’accettazione diplomatica del suo regime comunista”.
Questo si tradusse nelle seguenti azioni: mancato invito dei rappresentanti dello stato asiatico al sorteggio del 6 gennaio a Londra, adducendo come giustificazione che gli inviti erano andati persi; istruzioni a funzionari e media di chiamare la squadra Corea del Nord e mai Repubblica Popolare Democratica di Corea, come invece disposto dalla Fifa; divieto di suonare gli inni nazionali all’inizio delle partite, con l’eccezione del match inaugurale e della finale. Venne inoltre cancellato il francobollo ufficiale dei Mondiali che riproduceva la bandiera della Corea del Nord, mentre non fu possibile impedire la diffusione delle bandiere negli stadi, dal momento che la FA le aveva già ordinate e pagate.
La nazionale coreana fu spedita il più lontano possibile da Wembley, precisamente nella città industriale di Middlesbrough, estremo nord dell’Inghilterra, e come campo di allenamento le venne assegnato un modesto impianto sportivo in prossimità di un complesso petrolchimico. Ignari delle trame del proprio governo, i tifosi inglesi simpatizzarono all’istante con i giocatori nordcoreani, fisicamente gracili e tecnicamente acerbi, ma rapidi e instancabili. La Corea del Nord divenne la squadra-mascotte del torneo tanto che, dopo essere stata surclassata all’esordio dall’Urss (0-3), quando riuscì a strappare un pareggio al Cile segnando a due minuti dalla fine, al termine della partita molti tifosi inglesi scesero sul campo abbracciando i giocatori, che vennero poi ricevuti dal sindaco di Middlesbrough per una vigorosa stretta di mano.
Poi arrivò l’Italia e i coreani entrarono nella storia. La rete dell’insegnante di ginnastica, nonché calciatore professionista (e non dentista come è stato per anni raccontato) Pak Doo Ik regalò ai nordcoreani un inaspettato passaggio del turno per la Corea del Nord e provocò sudori freddi nei piani alti del Foreign Office. Un’atmosfera divenuta ancora più glaciale quando, dopo 24 minuti del quarto di finale contro il Portogallo, gli asiatici conducevano 3-0. Poi entrò in partita Eusebio e i lusitani si imposero 5-3, facendo calare sulla Corea del Nord un sipario colmo di bugie. Si disse che al ritorno in patria i giocatori finirono in un gulag come punizione per una notte brava in terra inglese all’insegna di alcol e donne. Si disse che furono costretti a cibarsi di insetti e che morirono tutti di fame e stenti. Oggi le chiameremmo fake news, il cui proliferare fu favorito da un regime dittatoriale chiuso in un isolamento politico e economico dal quale, in termini di notizie, trapelava poco o nulla.
In realtà i giocatori furono trattati come degli eroi una volta rientrati a casa, con Pak Doo Ik diventato in seguito c.t. della nazionale nordcoreana. Nel 2002 due giornalisti inglesi girarono un documentario su quella nazionale, riuscendo anche a riportare per qualche giorno alcuni giocatori in Inghilterra, nei luoghi dove fecero l’impresa. “Tornammo in patria da vincitori”, dichiarò Pak Doo Ik, “e ci coprirono di medaglie. Qualcuno di noi ottenne anche delle posizioni di responsabilità e ancora oggi siamo ricordati come gli eroi del ’66. Sapevamo che gli inglesi avevano combattuto contro di noi nella guerra di Corea e non ci aspettavamo un’accoglienza così calorosa da parte della gente. Invece avevano le nostre bandiere e ci applaudivano in continuazione. Sono convinto che parte del merito del nostro grande mondiale vada assegnato al comportamento della gente di Middlesbrough”.