Pochi giorni fa, ad esempio, le autorità kazache hanno proposto una modifica legislativa che potrebbe rendere la conoscenza della lingua nazionale, così come quella della sua storia e delle leggi della repubblica, un obbligo per ottenere la cittadinanza
Nuove prove che le ripercussioni geopolitiche e sociali dell’invasione russa dell’Ucraina siano durature arrivano ormai quotidianamente dal Kazakistan. Gigante geografico ed economico dell’Asia centrale che, fino a pochi mesi fa alleato di ferro del Cremlino nell’area, ha intrapreso una strada di progressivo distanziamento da Mosca. Pochi giorni fa, ad esempio, le autorità kazache hanno proposto una modifica legislativa che potrebbe rendere la conoscenza della lingua nazionale, così come quella della sua storia e delle leggi della repubblica, un obbligo per ottenere la cittadinanza. La mossa di Astana è legata a un percorso complesso di affermazione della lingua kazaca, in un paese dove il russo la fa ancora da padrone, soprattutto nelle grandi città. Quest’ultimo è infatti largamente utilizzato a livello burocratico e scolastico, con circa 800mila studenti che ricevono l’istruzione direttamente in quella lingua.
I tentativi delle autorità per favorire l’utilizzo dell’idioma locale sono iniziati anni fa, ma si sono intensificati negli ultimi mesi, in sostanza da quando in Kazakistan si è iniziato a registrare l’afflusso di centinaia di migliaia di cittadini russi in fuga prima dalle sanzioni e poi dall’arruolamento forzato. L’obiettivo è chiaro: ridurre al minimo i rischi di un’ulteriore diluizione dell’identità nazionale della repubblica kazaca, già messa in pericolo dal mix etnico del Paese. Proprio in tal senso, altre notizie in arrivo dal Kazakistan fanno capire quanto profondo sia il timore di Tokayev in merito alle potenziali mire espansionistiche russe. Stando a quanto riportato dal network Radio Free Europe/Radio Liberty, infatti, le autorità di Astana starebbero costringendo molti dei cittadini kazachi che hanno deciso o stanno decidendo di tornare a vivere nel Paese ad insediarsi non nelle loro zone di origine ma nelle regioni settentrionali dell’immenso territorio della repubblica, ossia quelle a maggioranza russofona.
La motivazione ufficiale sarebbe distribuire al meglio la forza lavoro, ma è fin troppo evidente che la vera ragione risiede nel tentativo di riequilibrare a livello etnico la parte nord del Kazakistan – che condivide con la Russia un confine lungo quasi 8mila km – a grande maggioranza russofona. Anche questo è un problema di lungo corso: la quota di cittadini di etnia russa residenti nella repubblica centro asiatica è decisamente calata negli ultimi anni – prima del crollo dell’Urss arrivava al 37% della popolazione totale – ma rimane a un livello pari a circa il 15%, con tutti i rischi che questo comporta. D’altronde negli ultimi anni non sono mancati proclami nazionalisti da parte di importanti figure politiche russe, tra cui lo stesso Putin, nei confronti della statualità kazaca, una retorica che non può fare escludere del tutto a Tokayev che il Kazakistan non venga messo in futuro sulla lista dei Paesi oggetto delle “attenzioni” di cui al momento è oggetto l’Ucraina.
Venendo alla sfera più strettamente geopolitica, il leader kazaco e i suoi funzionari stanno puntando con sempre maggiore convinzione sulla diversificazione delle rotte di esportazione del petrolio nazionale, per non dover passare dal territorio russo e togliere a Putin un eventuale potere di ricatto. Attualmente, infatti, circa l’80% delle esportazioni di petrolio del Kazakistan passa attraverso il terminal portuale russo di Novorossiysk. In termini relativi, nel 2021 questa percentuale si è tradotta in circa 54 milioni di tonnellate di greggio dirette verso l’Europa, mercato a cui Astana fornisce circa il 6% del fabbisogno annuo. Bene, Tokayev ha recentemente annunciato l’obiettivo di raggiungere le 20 milioni di tonnellate di petrolio esportato attraverso rotte alternative. Il leader kazaco ha evitato di definire un orizzonte temporale, anche perché il target fissato è estremamente ambizioso. Basti pensare che, dati i limiti geografici con cui la repubblica centro asiatica deve fare i conti, nel 2023 il Kazakistan dovrebbe essere in grado di trasportare solamente 1,5 milioni di tonnellate di petrolio evitando il territorio della Federazione. Il messaggio che arriva da Astana è comunque molto chiaro: lo storico legame con Mosca va reciso, o perlomeno fortemente limitato.