“Quello che facciamo può non piacere, è migliorabile – siamo esseri umani, ma la nostra libertà di farlo non è negoziabile col gusto di una platea, per quanto ampia”. Lo storico autore de Le Iene, Davide Parenti, si difende. L’ideatore del ventennale programma tv di Italia1 pubblica una lettera aperta sul sito di Primaonline per difendersi dalle accuse piovute addosso alla sua trasmissione dopo il suicidio di un uomo avvenuto in seguito ad un servizio di Matteo Viviani. Cerchiamo allora di riannodare i fili dei fatti accaduti. Circa quindici giorni fa a Le Iene va in onda un servizio dove si racconta del suicidio di Daniele, un ragazzo di 24 anni che si è tolto improvvisamente la vita dopo aver scoperto che l’avvenente ragazza con cui chattava da oltre un anno non esisteva, anzi che dietro di lei si celava un 64enne, tal Roberto Zaccaria. In gergo si chiama catfishing e non è la prima volta che nel programma di Davide Parenti se ne parla. Solo che questa volta dopo la ricostruzione assieme ai familiari di tutti gli attimi che hanno preceduto e seguito la morte del ragazzo, l’autore del servizio entra in contatto con Zaccaria, autore tra l’altro di un piano complesso per adescare Daniele con ben tre profili fasulli: la presunta amata, il fratello di lei, e un’amica di lei. Viviani e Zaccaria entrano in contatto per parecchi minuti, con Viviani che porta a passeggio la madre in carrozzina e reagisce violentemente scagliando addosso a Viviani addirittura la carrozzina con la madre sopra.
Ad un certo punto, incalzato dalla Iena, Zaccaria afferma addirittura, riferendosi a Daniele: “Se aveva problemi di testa non era colpa mia”. Insomma, il servizio va in onda e qualche giorno dopo viene confermata la notizia che anche Zaccaria si è suicidato. “In questi giorni tutto il gruppo che lavora a ‘Le Iene’ è stato scosso da un fatto tragico, che ci addolora in modo profondo”, scrive Parenti. “La storia era chiaramente di pubblico interesse, perché svelava la perversione di un meccanismo molto diffuso, che fa leva sulla fragilità affettiva e psichica di chi ne cade vittima. L’abbiamo raccontata perché potesse richiamare ogni potenziale ‘emulo’ alla gravità del gesto e alla sua responsabilità. Nel farlo, l’onda alimentata anche da chi ha ripreso il nostro lavoro è montata oltre ogni misura immaginabile, tanto che nel piccolo paese dove Roberto abitava sembra che qualcuno gli abbia fatto trovare dei cartelli nei pressi di casa”. “Il sabato successivo al servizio, a quattro giorni dalla messa in onda, Roberto si è tolto la vita – continua Parenti -. Da allora non smettiamo di domandarci qual è il limite, come bilanciare il diritto a fare informazione su fatti importanti e il diritto alla privacy, anche quella di chi è responsabile di questi fatti. Molti, dopo la morte di Roberto, hanno sollevato critiche sul nostro modo di raccontare, hanno sostenuto che è stato sbagliato, eccessivo. Accogliamo tutte queste critiche”.
A questo punto Parenti ricorda che guida Le Iene da 26 anni ed è responsabile di ogni cosa che viene mandata in onda: “Se su altri casi – anche molto controversi – dormo sonni tranquilli, sul servizio di Roberto continuo a interrogarmi, così come le oltre cento persone che lavorano al programma. Con la nostra esperienza avremmo potuto essere più capaci di ‘sentire’ chi avevamo di fronte. Chi fa il nostro lavoro si muove sul filo sottile della libertà di cronaca, una funzione delicatissima, per questo tutelata dalla Costituzione e disciplinata dalla legge. C’è poi un terzo elemento di cui chi fa comunicazione non può non tenere conto, la sensibilità collettiva, che negli ultimi anni ha fluttuato in modo continuo. Molti oggi vorrebbero collegare il gesto di Roberto Zaccaria al fatto di essere stato incalzato da un nostro inviato, perché ha trovato il suo modo irruente, violento. Eppure esiste una differenza tra sensibilità e nesso di causalità”.
Parenti elenca poi prima la difesa della modalità Iene (“il servizio di giornalismo estremo che pratichiamo”) da parte dell’editore, che sul singolo servizio aveva però avuto da ridire, poi altri celebri casi che non potevano che essere seguiti con i servizi andati in onda: “A sessantacinque anni ogni giorno ancora imparo che posso fare meglio. Alzeremo il livello di guardia, cambieremo alcune modalità di approccio ai fatti e alle persone. Non cambierà la nostra attenzione alla società, alla politica e la necessità di raccontarne storture e iniquità. Non abbiamo nessuna intenzione di ignorare ogni suggerimento utile e dato in buona fede su come migliorare il nostro lavoro. E soprattutto, non abbiamo nessuna intenzione di smettere di darci da fare”.