A nove mesi dalla chiusura indagini, la Procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio di due dipendenti del Programma alimentare mondiale (Pam), agenzia dell’Onu, per la vicenda legata alla morte dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio e del carabiniere Vittorio Iacovacci, uccisi in Congo il 22 febbraio dell’anno scorso. Nei confronti di Rocco Leone e Mansour Luguru Rwagaza, il procuratore Francesco Lo Voi e l’aggiunto Sergio Colaiocco, contestano il reato di omicidio colposo. I due sono gli organizzatori della missione del nord del Paese africano durante il quale i due italiani furono uccisi. I due imputati sono accusati di avere “attestato il falso, al fine di ottenere il permesso dagli uffici locali del Dipartimento di sicurezza dell’Onu, indicando nella richiesta di autorizzazione alla missione, al posto dei nominativi dell’ambasciatore Attanasio e del carabiniere Iacovacci, – spiegò una nota della Procura quando furono chiuse le indagini – quelli di due dipendenti Pam così da indurre in errore gli uffici in ordine alla reale composizione del convoglio e ciò in quanto non avevano inoltrato la richiesta, come prescritto dai protocolli Onu, almeno 72 ore prima”.

Quando a febbraio i pm chiusero l’indagine fu diramata una nota: “la Procura ha ritenuto di aver raccolto elementi idonei a contestare il delitto (…) agli organizzatori della missione nel Nord Kivu del 22 febbraio 2021, i quali avrebbero omesso per negligenza, imprudenza e imperizia – secondo la ricostruzione effettuata allo stato, che risulta in linea con gli esiti dell’inchiesta interna dell’Onu – ogni cautela idonea a tutelare l’integrità fisica dei partecipanti alla missione Pam che percorreva la strada RN2 sulla quale, negli ultimi anni, vi erano stati almeno una ventina di conflitti a fuoco tra gruppi criminali ed esercito regolare”. Allo stato degli atti” – proseguiva la nota -“sono stati raccolti elementi secondo cui gli indagati avrebbero attestato il falso, al fine di ottenere il permesso dagli uffici locali del Dipartimento di sicurezza dell’Onu, indicando nella richiesta di autorizzazione alla missione, al posto dei nominativi dell’ambasciatore Attanasio e del carabiniere Iacovacci, quelli di due dipendenti Pam così da indurre in errore gli uffici in ordine alla reale composizione del convoglio”. E ciò “in quanto non avevano inoltrato la richiesta, come prescritto dai protocolli Onu, almento settantadue ore prima”.

Inoltre “avrebbero omesso, in violazione dei protocolli Onu, di informare cinque giorni prima del viaggio la missione di pace MONUSCO che è preposta a fornire indicazioni specifiche in materia di sicurezza informando gli organizzatori della missione dei rischi connessi e fornendo indicazioni sulle cautele da adottare (come una scorta armata e veicoli corazzati)”. Infine, “avrebbero omesso di predisporre le cautele richieste dalla classificazione di rischio attribuita al percorso da effettuare che, pur avendo dei tratti classificati “verdi”, cioè a rischio basso, aveva anche delle parti classificate “gialle”, cioè a rischio medio, che avrebbero imposto di indossare, o di avere prontamente reperibili, il casco e il giubbotto antiproiettile“; e “avrebbero omesso – in presenza di un ambasciatore che, rappresentando il proprio Paese, costituisce soggetto particolarmente a rischio – di approntare ogni utile ulteriore misura di mitigazione del rischio“. L’ufficio, conclude il comunicato, “prosegue l’attività di indagine per il reato di sequestro di persona a scopo di terrorismo, finalizzate a identificare i componenti del gruppo di fuoco, anche attraverso le due rogatorie già inoltrate alla Repubblica democratica del Congo”.

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