Spesso la pace resta solo una parola pronunciata. Una parola sbandierata. Una parola che diventa persino utopica. Ho imparato da uomini come padre Alex Zanotelli e don Luigi Ciotti che la pace si costruisce anche con il disarmo e il ricorso a forme organizzate di difesa civile non armata e nonviolenta. Ecco perché nelle scorse settimane ho aderito e sostenuto una campagna denominata “Sei per la pace, sei per mille” chiedendo a chiunque la condivida di agire come se l’opzione fiscale fosse già realtà, versando il sei per mille della propria imposta Irpef alla Tesoreria Centrale per la Protezione Civile o altra realtà che persegue finalità coerenti con la difesa civile non armata e nonviolenta. Inoltre chiede di accompagnare tale scelta con una richiesta di rimborso all’Agenzia delle Entrate, in modo da creare un caso politico che costringa governo e Parlamento a occuparsi del tema.

Credo anch’io che sia venuta l’ora di manifestare concretamente la nostra contrarietà alla politica degli armamenti anche attraverso la via fiscale, in modo da sottrarre risorse all’apparato militare. Nel 1991, dopo la prima guerra del Golfo, 10.000 cittadini praticarono l’obiezione fiscale alle spese militari. Ora proponiamo una nuova forma di mobilitazione finalizzata al tempo stesso a ridurre le spese militari e a spingere verso una nuova forma di difesa civile non armata e nonviolenta. Una formulazione, tra l’altro, già presente nella legislazione italiana allorché nel 1998, la legge 230 istituì l’Ufficio nazionale per il servizio civile anche col compito di “predisporre forme di ricerca e sperimentazione di difesa civile non armata e nonviolenta”. In questi anni, tramite la Campagna “Un’altra difesa è possibile”, varie organizzazioni hanno presentato una proposta di legge per l’“Istituzione del Dipartimento della Difesa Civile non armata e nonviolenta” , che tra l’altro prevede la possibilità per i contribuenti di esprimere la propria preferenza per la difesa non armata destinando, al previsto dipartimento, il sei per mille della propria imposta Irpef.

Non nego che all’inizio del conflitto tra Russia e Ucraina, pur essendo un pacifista, entrai in crisi. L’11 febbraio scorso, quando ancora a molti sembrava non essere possibile quello che sta accadendo in queste ore, scrissi un messaggio ad un’amica giornalista ucraina: “Ma è vero ciò che sappiamo dai media italiani? I russi son davvero pronti ad invadere? Ma è assurdo! Pazzesco! Cosa possiamo fare? Mi sento impotente ma per nulla indifferente”. La sua risposta fu immediata. Non un solo tentennamento. Alcuna opzione. Una sola causa: “Puoi aiutare con una donazione i soldati ucraini”. D’istinto le dissi: “Scusami ma sono contrario alla violenza”. La collega mi ha rispose: “E alla difesa? Possiamo difenderci o no? Scusa ma sei un ipocrita”. Non aggiunse più una parola. Quel suo “sei un ipocrita” ha accompagnato le miei giornate.

Ho provato a mettermi nei loro panni. Se stanotte Crema, la mia città, fosse accerchiata, che farei? Se domattina piombasse una bomba sulla mia scuola uccidendo dei bambini che farei? Se mi trovassi per strada con la canna di un’arma puntata che farei?”. Scelsi di stare dalla parte dell’invio delle armi, trovandomi dall’altra parte rispetto ad amici pacifisti come padre Zanotelli o il pedagogista Daniele Novara e tanti altri.

Oggi, dopo aver seguito giorno per giorno la cronaca dall’Ucraina, dopo aver cercato di capire qualcosa in più, credo che l’invio delle armi alimenti solo una pericolosa spirale e obblighi l’Ucraina alla non resa di quella parte di territorio, portandoci tutti al rischio di una terza guerra mondiale. La risposta data dall’Occidente all’aggressione russa all’Ucraina si sta rivelando profondamente sbagliata e pericolosa. L’invio di armi all’Ucraina da parte della Nato, di fatto parte belligerante della guerra ibrida in atto, sta contribuendo solo al prolungamento della scia di morte e distruzione del Paese.

Nello stesso tempo la corsa al riarmo degli Usa e dei Paesi europei, unitamente allo schieramento di truppe ai confini orientali europei, costituisce un pericolo mortale per la pace del mondo. E mentre le popolazioni europee si trovano in una crisi energetica ed economica senza precedenti, si fa sempre più concreto il rischio del disastro nucleare. Ecco perché credo che serva ripartire da un atto concreto che ciascuno di noi può fare.

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