Bisogna avere delle idee per poterle condividere o criticare. La salute e la sanità necessitano di idee. Quelle del nuovo ministro della Salute, Orazio Schillaci, per ora, restano parole seppur con bersagli reali e basilari per organizzare una ennesima nuova ristrutturazione del sistema sanità che, soprattutto in questi ultimi anni, ha fatto emergere ogni lacuna. Così leggo, ad esempio, di premi ai medici o agli studenti che scelgono specialità difficili. Delle considerazioni “sulla base della mia esperienza personale”, di riflessioni sulla medicina territoriale ed ancora sull’utilizzo dei medici di continuità assistenziale.
Tante parole, ripeto, che restano tali se non sviluppate in idee e progetti reali. Per questo venerdì 18 novembre alle ore 18 ho deciso di partecipare ad un convegno nella sala Gonfalone del palazzo Pirelli di Milano dove mi hanno invitato ad esporre le mie idee vere. Per quelli che non avranno il tempo di venire ad ascoltarmi, e perché no per il nuovo ministro della Salute da poco in carica, anticipo succintamente quello che dirò. Perché parlare da medico, e da frequentatore di sale operatorie per decenni dove tutto deve girare in modo adeguato, è meglio; come è meglio dire che non dire, ma più di ogni altra cosa è meglio fare in modo che gli altri ascoltino, critichino e, speriamo, condividano.
Così “sulla base della mia esperienza personale” credo che per appagare i medici non serva, forse come nella vita, offrire di più economicamente (la medicina in fondo è una missione?), ma organizzare in modo tale che nessuno possa, senza giustificazioni, attaccare la classe medica. È ovvio che i delinquenti restino tali, ma permettere ad esempio pubblicità televisive subdole in cui pletore di avvocati sono in attesa di attacco come avvoltoi diminuisce la volontà di sacrificio per gli altri. È ovvio che la selezione con test di ingresso a medicina, ormai ingiustificata, non aiuta. Così come è ovvio che solo sistemi di controllo adeguati riducono il rischio di abuso di chi vuol sfruttare a propri fini la salute e la malattia dei cittadini. Così come è ovvio che solo accessi condizionati alla necessità nazionale delle varie specialità permette una distribuzione equa in ogni ambito.
Per la medicina territoriale occorre farla diventare pubblica, non più privata accreditata, e organizzare dei veri e propri reparti ospedalieri di medicina di base con i medici che fanno da satellite a ospedali o cliniche private accreditate. Loro tornerebbero a fare quello per cui hanno studiato vicini agli specialisti e gli ospedali li “useranno” come primo filtro per ridurre le attese al pronto soccorso per le vere emergenze. In questo caso non avremmo più bisogno di costruire nuove strutture di continuità.
Con poche idee abbiamo riempito tante parole. Perché i politici dovrebbero essere così. Devono dire quello che pensano, ma soprattutto mantenerlo dopo essere stati eletti o nominati, altrimenti sarebbero degli spergiuri. Questo ho capito dal mio caro amico Vittorio quando mi ha spiegato quello che gli è capitato al termine della vita della moglie amatissima e che potrete leggere nei suoi pezzi “dissacratori” molto interessanti.
“Nell’ultima fase della sua malattia mia moglie parlava serenamente della sua prossima dipartita – mi spiega Vittorio – e, a proposito della sua cerimonia funebre, essa si era fatta più volte promettere e confermare che l’uscita del feretro dalla chiesa sarebbe stata accompagnata dalle note del Va, pensiero di Giuseppe Verdi. Ci teneva moltissimo perché tutte le cerimonie funebri dei membri della sua famiglia (ormai tutti defunti) avevano seguito questa tradizione e, per lei, ciò rappresentava un ideale ricongiungimento con loro.” Il prete (è una missione come la medicina?), che aveva tanto promesso anche in punto di morte, non mantenne. Venne considerato spergiuro dal mio amico fino a stimolare le profonde riflessioni che potrete leggere, capitolo dopo capitolo, insieme a me.
Dovremo considerare spergiuri anche i politici?