Otto miliardi. E dire che negli anni Ottanta eravamo la metà ad abitare il pianeta e all’affacciarsi del terzo millennio ci spartivamo la Terra in sei miliardi. Ora siamo arrivati a otto. La popolazione mondiale è sempre aumentata: a partire da un piccolo gruppo di “emigranti” africani, di cui siamo tutti nipoti alla lontana – che ci piaccia o meno – ci siamo sempre moltiplicati. L’andamento non è però sempre lineare. Negli anni Ottanta c’erano poco meno di 700 milioni di europei; oggi siamo pochi di più, mentre in un continente tradizionalmente sottopopolato come l’Africa, nello stesso periodo di tempo, si è passati da un indice basso pari a 469 milioni al miliardo e 200 milioni di oggi.

Se guardiamo al futuro più prossimo, le cifre ci raccontano quale sarà la mappa demografica di domani. Il tasso medio di natalità per il mondo intero è stimato a 17,5 nascite ogni mille abitanti, in Italia questo dato scende però a 7/1000. Nel 2020 sono nati nel nostro Paese solo 404mila bambini, per una media di 1,24 figli per donna, il che significa che a ogni generazione perdiamo circa un terzo della nostra popolazione. Nel resto dell’Europa i dati sono leggermente più alti, ma se Roma piange Bruxelles non ride: infatti siamo all’1,5 figli per donna e con un andamento decrescente.

Ben altra situazione sulla sponda sud del Mediterraneo: nell’Africa subsahariana il tasso di natalità va da 35 a 40 nascite per ogni mille abitanti e, con questo andamento, si stima che nel 2050 gli africani raddoppieranno di numero, raggiungendo i due miliardi. Inoltre, si tratta di una popolazione estremamente giovane: 8 persone su 10, in Africa, non erano ancora nate quando crollava del muro di Berlino e 4 su 10 non erano avevano visto la luce l’11 settembre 2001. Il 40% degli africani ha meno di 15 anni, nel nostro Paese gli under 15 sono il 13,3%.

Le cause di questo squilibrio sono diverse e non sono solo di tipo economico, tanto è vero che spesso sono le popolazioni più povere a mettere al mondo più figli. Per quanto riguarda l’Italia (e anche se in misura diversa l’Europa), non c’è dubbio che il calo del welfare incida sulle scelte delle coppie, così come la mancanza di un lavoro fisso. A questo si aggiunga la difficoltà delle donne del dover spesso rinunciare alla maternità a causa del lavoro e in certi casi di contratti informali “capestro”. Tutto questo si traduce in una scarsa fiducia nel futuro.

Il baby boom che segnò l’Italia del dopoguerra era dovuto non solo alle condizioni economiche (che spesso erano più basse di quelle attuali), ma soprattutto a una visione del domani come speranza, dopo cinque anni di morte e fame. Una visione che oggi manca. La politica ha il fiato corto e una vista ancora più limitata, che non arriva più in là dell’immediato e della prossima elezione. Se così non fosse, sarebbe persino banale dire che ci servono giovani e che questi non possono che venire da altri Paesi. I demografi ce lo dicono da anni, nell’indifferenza (o peggio nella malafede, generale): entro il 2050 l’Europa dovrebbe accogliere 50 milioni di migranti per mantenere il suo numero di abitanti e, se volesse stabilizzare la popolazione attiva, dovrebbe ospitarne 80 milioni. La risposta qual è? Bloccare gli arrivi, per guadagnare qualche consenso.

“La demografia è destino” ha scritto Auguste Comte e la storia della nostra specie è fatta di spostamenti di popolazioni, in tempi diversi e lungo rotte diverse. Il pianeta è come una serie di vasi comunicanti, le migrazioni colmano i vuoti. La cecità di molti, troppi politici, acceca, la malafede uccide. “La grandezza dell’uomo è di essere un ponte e non uno scopo”, ha scritto Friedrich Nietzsche, ma poche volte sappiamo essere grandi: di solito costruiamo muri.

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