Mai così tanti suicidi nelle carceri italiane come quest’anno. Il 2022 è l’anno con il numero maggiore di detenuti che si sono tolti la vita dal 2009, quando si raggiunse quota 72. Da gennaio a oggi se ne contano già 77. Un dato a dir poco allarmante, tanto che il garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale è intervenuto per rilevare che il nostro sistema penitenziario “sta vivendo un momento di particolare complessità”.

Spesso a decidere di farla finita sono dei giovani detenuti. Mi ha colpito molto a ottobre la notizia della morte di un ragazzo – arrestato in flagranza per un piccolo reato – che si è impiccato nella sua cella della sezione “nuovi giunti” del carcere “Lorusso e Cutugno” di Torino. Aveva 22 anni e avrebbe avuto tutta una vita davanti per riscattarsi e inserirsi nella società e nel mondo del lavoro.

“Il grado di civiltà di un paese si misura osservando la condizione delle sue carceri”, scriveva Voltaire. Per questo appare ormai indifferibile una seria riflessione su quello che accade nei nostri istituti penitenziari. Queste morti dovrebbero stimolare non solo interrogativi sul funzionamento del sistema carcerario, ma anche sulla necessità di limitare il ricorso alla custodia cautelare e soprattutto sulla possibilità di dare maggiore spazio alle misure alternative alla detenzione e di privilegiare il modello della giustizia riparativa e la mediazione penale.

Nella scorsa legislatura abbiamo fatto senza dubbio importanti passi avanti. In tema di giustizia riparativa, il legislatore ha finalmente fornito una cornice normativa a prassi già diffuse sulla base di regole europee e internazionali. Presso ogni corte d’appello saranno inoltre istituiti, con il coinvolgimento degli enti locali, i centri per la giustizia riparativa. Infine è stato ampliato l’ambito di applicazione della sospensione del procedimento penale con “messa alla prova” a un insieme di reati con pena non superiore a sei anni. E questo comporterà ricadute positive anche sui tempi di definizione dei processi penali.

“Adesso che il percorso della riforma è compiuto – mi dice Cristina Selmi, direttrice dell’Ufficio locale di esecuzione esterna di Pistoia – per il sistema dell’esecuzione penale esterna si tratta di continuare a implementare il dialogo con le comunità, con gli enti locali, con il terzo settore, per far conoscere la cultura della riparazione e per creare diffuse opportunità strutturate di esecuzione del lavoro di pubblica utilità”. Proprio nella provincia di Pistoia sta dando buoni frutti il progetto “Smart Social Justice” che vede impegnati, in un percorso di conoscenza degli strumenti della giustizia riparativa, operatori di numerosi enti del territorio, comprese le forze di polizia.

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