Forza Italia 1 e Forza Italia 2: all’Assemblea regionale siciliana ci sono due gruppi berlusconiani. La spaccatura tra i nove deputati azzurri che fanno capo a Renato Schifani (“Fi1”) e i quattro che rispondono a Gianfranco Micciché (“Fi2”) è stata ufficializzata dal presidente dell’organo Gaetano Galvagno, poco dopo le 15, quando accetta di registrare i due gruppi. “Provvisoriamente”, sottolinea, cioè solo in attesa che le due anime del partito si chiariscano definitivamente dopo le due beffe subite da Micciché: prima la mancata rielezione alla presidenza in favore di Galvagno, poi l’esclusione dei suoi uomini dalla giunta Schifani. Ma la ricomposizione della frattura sembra di là da venire, soprattutto dopo la votazione per il vicepresidente dell’Assemblea, che ha visto la maggioranza di centrodestra andare sotto alla prima prova d’aula, poche ore dopo la presentazione del governo regionale: l’ex presidente del Senato, perciò, non ha nemmeno iniziato a governare che ha già perso la maggioranza.

I consiglieri che appoggiano la giunta venuta fuori dalle elezioni, in teoria, sono quaranta su settanta. Eppure nel voto per la vicepresidenza è stato il candidato dell’opposizione, il Cinque stelle Nuccio Di Paola, ad avere la meglio ottenendo 35 voti su 68 (c’erano due assenti tra le file di “Forza Italia 2”) mentre la designata dalla maggioranza, Luisa Lantieri (“Forza Italia 1”), si è fermata a 32. Il centrodestra quindi non pare avere più i numeri sufficienti per governare: una crisi di nervi che mette a rischio la coalizione, spaccata in più parti e in più partiti. Non è solo Forza Italia, infatti, a essersi presentata al voto con guerre intestine. A dimostrarlo sono innanzitutto i numeri: solo la scorsa settimana, alla prima votazione, alla presidenza dell’Ars era stato eletto il meloniano Galvagno con 43 voti su 70. Adesso, per l’elezione dei vicari, la forzista Lantieri ha preso ben 11 voti in meno, otto in meno di quelli sui cui in teoria conta il centrodestra. Il governo di Schifani appare quindi già in seria difficoltà.

Tra la prima e la seconda votazione, infatti, il fatto nuovo e decisivo è stato l’annuncio della giunta. Nella squadra di Schifani infatti non figura nessun uomo – né donna – di Micciché: tra i meloniani, invece, hanno avuto un posto Francesco Scarpinato, voluto dal ministro Francesco Lollobrigida, ed Elena Pagana, imposta dal ministro Nello Musumeci, lasciando nelle retrovie due ex “musumeciani” di ferro come Giorgio Assenza e Giusi Savarino, per i quali sono subito fioccati i messaggi di solidarietà dopo l’esclusione, imposta direttamente da Roma. Uno scontento che si è tradotto nel voto di oggi. Degli otto voti che mancano, esclusi i due assenti e gli altri due di “Forza Italia 2” (che possono a questo punto essere contati nell’opposizione), ne restano quattro che portano la questione oltre lo scontro tra Schifani e Micciché. E tra le file della maggioranza c’è chi è certo che almeno due dei quattro voti ribelli siano dovuti alla retrocessione dei due assessori in pectore di FdI, sostituiti da quelli imposti da Lollobrigida e Musumeci.

Una spaccatura che va ad aggiungersi alla già ampia frattura tra le file dei berlusconiani. Uno scontro che ha raggiunto l’apice quando gli eletti di Forza Italia all’Ars hanno votato come capogruppo Stefano Pellegrino: una scelta che non è andata giù a Micciché, a tal punto da diffidare i colleghi all’utilizzo del nome di Fi, di cui è il coordinatore regionale. Mentre Schifani, durante la presentazione della giunta, ha spiegato ai cronisti come la scelta di Pellegrino (ora presidente di “Fi1”) sia stata fatta all’interno della chat di Forza Italia dove erano tutti presenti. Secondo questa ricostruzione, quindi, la spaccatura in due sarebbe una forzatura di Micciché. Ma il caso promette di creare non poche scintille nella maggioranza. Sempre che una maggioranza ci sia ancora: “I siciliani hanno dato a questo governo una maggioranza di quaranta parlamentari e già alla seconda votazione all’Ars sono scesi a 32”, sottolinea il consigliere del Pd Nello Dipasquale. E insiste: “Schifani, poco tempo fa, a proposito del voto sulla presidenza di Sala d’Ercole, aveva dichiarato di essere pronto alle dimissioni qualora non ci fossero stati i numeri. Che intende fare ora?”. Ed è solo l’inizio.

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