C’è anche il nome di Vito Cozzoli, ex capo di Gabinetto del Mise, nelle carte dell’inchiesta che il gip di Bari, Giuseppe Battista, ha definito un “autentico saccheggio” ai danni di cinque cooperative che proprio il ministero dello Sviluppo Economico aveva posto in liquidazione coatta amministrativa, una particolare procedura che interessa alcune tipologie di impresa che in caso di fallimento avrebbero notevoli ripercussioni sociali. La posizione di Cozzoli, attualmente presidente della società Sport e Salute, è stata archiviata dal gip su richiesta dalla procura barese dopo le ombre che si si erano addensate intorno a lui per la sua “vicinanza” a uno dei principali indagati dell’inchiesta, l’ex coordinatore regionale Udc pugliese Filippo Barattolo, che fu anche assessore comunale nella giunta di Michele Emiliano. Per i magistrati infatti quella vicinanza poteva aver influito sulle nomine dei commissari liquidatori al centro dell’inchiesta sul “drenaggio” delle risorse delle cooperative per fini personali. Le indagini, tuttavia, avrebbero escluso – secondo la procura – responsabilità penali in capo a Cozzoli. Cozzoli si dichiara “del tutto estraneo ai fatti richiamati, come anche attestato dalla mancata pendenza di alcun procedimento nei propri confronti “. Non solo, il manager spiega che gli incarichi a Barattolo venivano “firmati dal ministro pro tempore e di non aver mai avuto partecipazioni in società riconducibili alla vicenda in questione”.
L’indagine dei finanzieri ha portato agli arresti domiciliari il commercialista calabrese Gianluigi Caruso, ritenuto il vero dominus dell’attività illecita, mentre per Barattolo e l’avvocato barese Sergio Adamo il gip ha disposto la sospensione dall’esercizio dei pubblici uffici di commissario liquidatore e curatore fallimentare per la durata di un anno. Negli atti dell’inchiesta si legge che dai conti correnti bancari di cinque delle cooperative gestite da Barattolo, questi “avrebbe richiesto l’emissione di numerosi assegni circolari a beneficio delle medesime società, per poi porli personalmente all’incasso e convertirli in denaro contante, nonché effettuato prelevamenti per fini personali; disposto bonifici o emesso assegni bancari in favore di sé stesso o delle cooperative”.
Un sistema con cui, secondo l’accusa, il professionista si sarebbe arbitrariamente impossessato di oltre 380mila euro “sottraendoli indebitamente alle casse societarie”. Le attività investigative dei finanzieri, guidati dal colonnello Luca Cioffi e coordinati dal procuratore Roberto Rossi e dell’aggiunto Alessio Coccioli, hanno tuttavia chiarito che in realtà Barattolo fosse solo una sorta di “testa di legno”: tutto, infatti, erano studiato da Caruso, commercialista di origine calabrese e amministratore della “Studio consulenza Chigi srl” di Roma. Era lui a utilizzare le pec, a effettuare operazioni, gestire insomma tutta la vicenda, ma utilizzando come prestanome Barattolo. Caruso è già stato condannato in via definitiva a 5 anni di reclusione per atti contrari ai propri doveri d’ufficio posti compiuti tra il 2006 e il 2008 in Calabria: il 56enne è stato riconosciuto colpevole di aver ceduto il complesso aziendale di una cooperativa di Gioia Tauro a prezzi inferiori a quelli di mercato “favorendo alcune cosche criminali”.
E così, non potendo operare in prima persona con la pubblica amministrazione, Caruso si è avvalso delle classiche “teste di legno”. Nell’ordinanza di custodia cautelare, infatti, emergono una serie di intercettazioni che mostrano come Barattolo “non aveva neanche – scrive il gip Battista – le credenziali di accesso telematico alle procedure nelle quali figurava commissario”. Lo stesso sistema, sarebbe poi stato utilizzato con l’avvocato barese Sergio Adamo che ricopriva il ruolo di commissario liquidatore. L’inchiesta è partita da una serie di operazioni sospette compiute da Barattolo e segnalate dall’istituto bancario: diversi assegni circolari intestati a ”me medesimo” in favore di due delle cooperative gestite dall’ex coordinatore Udc, che sarebbero poi messi all’incasso dallo stesso Barattolo “in modo da operare contestuali prelevamenti in contanti ed appropriarsi, così, di denaro”.
Per il gip, Barattolo, Caruso e Adamo “hanno continuato, nel tempo, a ‘drenare’ risorse finanziarie delle cooperative” perché all’organo che avrebbe dovuto vigilare, appunto il ministero dello Sviluppo Economico, sono state inviate relazioni semestrali sull’andamento delle gestioni commissariali “non veritiere” oppure con “allegati falsificati”. Non solo. In alcuni casi dal 2017 “è stato sistematicamente omesso l’invio delle comunicazioni periodiche” e addirittura, in un caso gestito dall’avvocato Adamo, sarebbe stata inviata al Mise solo la relazione iniziale.