“Il cinema è storia. Con ogni pezzo di pellicola che viene perso, perdiamo un legame con la nostra cultura, con il mondo che ci circonda e con noi stessi”. Sono parole di Martin Scorsese, 80 anni oggi, magnifico regista, certo, ma anche uomo la cui straordinaria competenza e lo sfrenato amore per il cinema, e per la sua conservazione, sono divenuti proverbiali. Nel 1980 – anche questa è storia – allora sposato con Isabella Rossellini, viene trascinato, probabilmente proprio dalla moglie, sul set de Il Pap’occhio, il demenziale, divertente film di Renzo Arbore, dove, in un cameo, interpreta se stesso nel ruolo dello sconfortato regista di Gaudium Magnum, il programma che il Papa, in cerca di consensi, aveva commissionato ad Arbore e la sua banda. Un pazzo musical che viene inizialmente sequestrato per vilipendio della religione. E pensare che Scorsese, da ragazzo, aveva fatto il chierichetto (in odore di divenire prete) nella vecchia cattedrale di San Patrizio, la stessa che è poi divenuta location di alcuni suoi film (fra i quali Chi sta bussando alla mia porta?, ’67 e Mean Streets – Domenica in chiesa, lunedì all’inferno, ’73 (per la cronaca è la stessa chiesa in cui Coppola girò la scena del battesimo ne Il Padrino, ’72).
“Il regista più famoso della sua epoca” che “ha praticamente definito lo stato del cinema americano moderno negli anni ’70 e ’80. Un consumato narratore e stilista visivo che ha vissuto e respirato i film, ha guadagnato fama traducendo la sua passione ed energia in un tipo di regia che scoppiettava di eccitazione cinetica”, scrive di lui il New York Times.
Nato il 17 novembre 1942 a Flushing, Queens, New York, è il secondo figlio di Charles e Catherine Scorsese, i cui genitori erano originari di Polizzi Generosa, paesello in provincia di Palermo, nel parco delle Madonie, di cui è oggi cittadino onorario. Da ragazzo soffre di asma, per lui sono dunque precluse attività sportive e motorie. Si rifugia nei cinema della zona, diventandone presto ossessionato, in particolare dei film del britannico Michael Powell che fu anche co-sceneggiatore di Alfred Hitchcock. Powell sposerà poi Thelma Schoonmaker che diverrà, nel frattempo, montatrice di fiducia di Scorsese, definita dalla critica “una componente fondamentale nell’evoluzione della sua spiccata sensibilità visiva”. Anche Roger Corman ha una profonda influenza su Scorsese che frequenta la sua Factory, ma la formazione più solida il regista la consegue sulla strada, fra i borderline, i diseredati e gli italo-americani (“antieroi estranei, insolite tecniche di ripresa e montaggio, ossessioni da duello con la religione, la vita dei gangster e l’uso evocativo della musica popolare”, è stato scritto su di lui – i saggi su Scorsese sono infiniti…).
Iscritto alla scuola di cinematografia della New York University (dove, anni dopo, insegnerà cinema, fra gli altri anche ad Oliver Stone) dà l’addio ai propositi clericali e riesce a produrre un corto (What’s a Nice Like You Doing in a Place Like This?, ’63), oggi divenuto di culto: è la storia, che si consuma in 9 minuti, di un giovane scrittore in crisi (Zeph Michaelis) con la fissa di osservare costantemente, quasi ossessivamente, fino alla paranoia, un quadro in cui è raffigurato un uomo in barca (lo stesso Scorsese) e che verrà salvato dall’incubo solo dall’incontro con una ragazza. Dopo un altro corto del ’67, The Big Shave (un uomo che si fa la barba fino a insanguinarsi totalmente, possibile metafora della guerra in Vietnam), ecco il suo primo film a lungo metraggio Chi sta bussando alla mia porta? (’69), uscito dopo molte sottoversioni e dove fa capolino Harvey Keitel che ritroveremo poi in Mean Streets – Domenica in chiesa, lunedì all’inferno (’73) e in Alice non abita più qui, ’74, girato in Arizona (Oscar per Ellen Burstyn).
Nello stesso anno, Scorsese realizza Italoamericani (che lui indica come il film a cui è più affezionato), un ritratto della vita dei migranti italiani a Nyc che vede protagonisti i genitori del regista (la mamma – che qui fornisce anche ricette siciliane – la ritroveremo anche in altri suoi film). Tutto ciò prima di approdare al grande Taxi Driver, Palma d’Oro a Cannes ’76, sceneggiatura di Paul Schrader, con Robert De Niro che diverrà il suo attore feticcio. Il personaggio chiave del film, Travis Bickle, tassista frustrato deciso ad assassinare un candidato alla presidenza degli Usa e, nel contempo, salvare dalla strada la prostituta-bambina Jodie Foster parrebbe ispirato al fallito tentativo di omicidio di Ronald Reagan. Poi , nel ’77, il musical New York, New York, ancora con De Niro (che suona il sax), ma soprattutto con una memorabile Liza Minnelli. Ci sono poi i docu-film sulle rock-band, fra cui L’ultimo valzer (’78), un concertone che vede la presenza, fra i tanti, di Bob Dylan e Van Morrison. Le riprese di un altro concerto, stavolta dei Rolling Stones nel 2008, avranno la firma di Scorsese (Shine a Light). Toro scatenato (’80), storia del pugile italo-americano Jack La Motta, interpretato da De Niro (Oscar), si apre con la Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni già sui titoli di testa. Scorsese usa spesso la musica, sia diegetica che extradiegetica, ovvero proveniente da un fonte rispettivamente presente o non presente nell’inquadratura.
Dal 1983 al 2019 gira altri 18 film e qui non c’è spazio per citarli tutti: da Re per una notte con un fantastico De Niro nei panni del triste comico Pupkin che finisce per rapire Jerry Lewis, a L’ultima tentazione di Cristo, dalla novella di Nikos Kazantzakis, in cui Scorsese torna a collaborare con Paul Schrader in veste di sceneggiatore, con un intenso William Defoe; dal gangsteristico Quei bravi ragazzi a L’età dell’innocenza, dal romanzo di Edith Wharton, a mio parere il meno ‘scorsesiano’ fra tutti; da Gangs of New York, grande spaccato storico della Grande Mela di metà Ottocento e delle lotte fra bande, con un altro suo attore feticcio, Leo Di Caprio, prodotto (insieme con Alberto Grimaldi) da Harvey Weinstein, poi finito nel vortice di MeToo, con il quale pare Scorsese abbia avuto non poche diversità di vedute; per giungere a Hugo Cabret, un omaggio, quasi un atto di amore, nei confronti di Georges Méliès e del cinema dei primordi; fino a Irishmen (acquisito anche da Netflix) che riunisce la coppia Pacino-De Niro.
Oggi, a ottant’anni, Scorsese non demorde: ha in progetto (a parte le produzioni) varie serie tv e l’atteso Roosvelt, biografia del presidente Usa, che avrà il volto di Di Caprio. Come Hitchcock, Scorsese appare spesso nei suoi film, come se non gli bastasse dirigerli, ma volendo persino penetrare fisicamente in ciò che ha ideato.