L’intero sud-ovest americano sta affrontando la peggiore siccità degli ultimi 1.200 anni e le falde acquifere sono un’ancora di salvezza ma anche queste si stanno prosciugando. Gli abitanti della La Paz County hanno i loro rubinetti in secca perché i terreni agricoli circostanti, nelle mani delle società del Golfo, non hanno restrizioni nel prelevare acqua dalle falde acquifere, mentre quella destinata ad uso umano è stata razionata
Davvero pochi tra gli abitanti della La Paz County dell’Arizona – 16mila anime – saprebbero indicare sul mappamondo il Golfo Persico, eppure se i loro rubinetti sono a secco lo devono alle ricche petromonarchie come Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Sono vittime del fenomeno che viene chiamato “acqua virtuale”. I due Stati arabi attraverso loro società hanno acquistato negli anni centinaia di migliaia di ettari di terreni agricoli in Arizona e California. Qui viene coltivata intensivamente l’erba medica – coltura ad altissimo bisogno di acqua per la crescita – destinata all’esportazione. Viene spedita in Arabia Saudita dove viene utilizzata per nutrire i bovini, contribuendo a sostenere l’industria lattiero casearia del Regno. Arabia Saudita e Emirati, viste le loro risorse idriche, non potrebbero gestire simili coltivazioni.
L’intero sud-ovest americano sta affrontando la peggiore siccità degli ultimi 1.200 anni e le falde acquifere sono un’ancora di salvezza ma anche queste si stanno prosciugando. Gli abitanti della La Paz County hanno i loro rubinetti in secca perché i terreni agricoli circostanti – nelle mani delle società del Golfo – non hanno restrizioni nel prelevare acqua dalle falde acquifere, mentre quella destinata ad uso umano è stata razionata. La capacità di un Paese di coltivare e produrre raccolti utilizzando le risorse naturali di un altro Paese può essere piuttosto redditizia. Ma l’esportazione di acqua virtuale – acqua incorporata nei prodotti agricoli – può avere un impatto devastante, infatti la Water Authority dell’Arizona ha denunciato il fatto che alcuni pozzi siano ormai in secca. E fra le altre cose la società saudita Fondomonte accede all’acqua a un prezzo quasi simbolico, un sesto del prezzo di mercato per l’acqua agricola.
Non ci sono dati concreti su quanta acqua la compagnia pompi fuori dalle falde acquifere, ma un rapporto del Dipartimento delle Acque dell’Arizona stima che usi milioni di metri cubi ogni anno, abbastanza per rifornire 54mila case unifamiliari e la popolazione di La Paz è di circa 16mila persone. Non è chiaro nemmeno ad Arizona Republic, il giornale che ha denunciato lo scandalo, perché la Fondomonte per l’acqua utilizzata paghi solo 86mila dollari l’anno. Al prezzo di mercato dovrebbe pagare 3,5-3,9 milioni di dollari.
Gli acquisti di questi terreni “stranieri” per le due società sono iniziati una decina di anni fa. Nel 2012, Fondomonte ha acquisito 20mila ettari in Argentina. Due anni dopo, cominciarono gli acquisti in Arizona con 5mila ettari per 47 milioni di dollari. Poi nel 2016 hanno acquistato altri 900 ettari a Blythe, in California, appena al largo del fiume Colorado, per 32 milioni di dollari. E via così. Secondo il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti gli ettari nelle mani della società saudita nel 2020 erano già diventati 80mila.
Riyad è chiara sulle sue intenzioni. Arab News, l’organo di informazione preferito dal principe ereditario Mohammed bin Salman, ha scritto che questi acquisti “sono parte di sforzi continui per migliorare e garantire la fornitura di erba medica della massima qualità dall’esterno del regno per supportare l’attività lattiero-casearia. Ed è anche in linea con la direzione del governo saudita verso la conservazione delle proprie risorse nazionali”, scriveva il giornale nel marzo 2014.
Nel frattempo, sempre secondo l’USDA, anche gli Emirati attraverso la loro compagnia Al Dahra hanno fatto acquisti: al momento possiedono 40mila ettari fra Arizona e California coltivati a erba medica, aglio e cipolla, secondo il sito web dell’azienda. La capacità di queste ricche nazioni del Golfo di capitalizzare sulle risorse naturali all’estero ha creato un serio vantaggio per i propri settori agricoli. La produzione saudita nel 2021 è stata di 19 miliardi di dollari, la più alta degli ultimi cinque anni. E negli EAU del 12% dal 2019 al 2020, per raggiungere quasi 4 miliardi di dollari. Tenendo anche conto che la loro crescita agricola in altri Paesi non comporta alcun costo ambientale. “La regione di produzione sostiene i costi dell’impatto ambientale e il consumatore dall’altra parte del mondo non lo percepisce”, spiega Paolo D’Odorico, professore di eco-idrologia e risorse idriche alla Berkeley University.
Coltivare e produrre raccolti sfruttando le risorse naturali di un altro Stato può essere piuttosto redditizio. Ma l’esportazione di “acqua virtuale” ha un enorme impatto ambientale sulle comunità locali. “Una quantità così sproporzionata delle risorse idriche utilizzate dagli esseri umani adesso va all’erba medica. E tutto sommato è un raccolto di valore relativamente basso. Non crea molti posti di lavoro”, dice Alida Cantor, professore alla Portland State University. I ricercatori americani sono convinti che le due aziende arabe stiano pompando acqua a una velocità tale da non poter essere reintegrata con la pioggia. Lo sfruttamento intensivo di queste falde acquifere ha causato indignazione negli ultimi anni, con i titoli dei giornali che dicono che l’Arabia Saudita sta saccheggiando tutta l’acqua dell’Arizona e minacciando il suo approvvigionamento idrico. Sono state introdotte recenti normative federali ma solo per limitare l’uso residenziale dell’acqua nella regione, nonostante l’80% di quella proveniente dal bacino del fiume Colorado sia utilizzata per l’agricoltura. La comunità di La Paz non si arrende, la battaglia continua ma intanto le fattorie di proprietà del Golfo Arabo sono in grado di continuare a utilizzare tutta la falda freatica che desiderano, senza restrizioni.